il reportage

Il dramma dei bambini siriani Orfani e bersagli dei cecchini

Nei campi profughi in Turchia le condizioni sanitarie sono pessime: si vive tra i rifiuti e le mosche I disegni riflettono i traumi vissuti. L’aiuto importante delle associazioni della nostra regione


di Paolo Tessadri


TURCHIA. L’emergenza dei profughi siriani non si chiama solo Grecia. Nei campi dei rifugiati in Turchia, sorti spontaneamente lungo tutto il confine con la Siria, si rischia l’emergenza sanitaria. Sono sorti ovunque, ve ne sono migliaia e migliaia. Non grandi insediamenti, al massimo una ventina di tende. Le condizioni igieniche e sanitarie sono quasi inesistenti, i bambini si stanno ammalando. Pochi hanno le scarpe e nel freddo tosse, bronchiti e polmoniti sono all’ordine del giorno. Le mani dei ragazzini si spellano e si vedono profondi tagli. Anche sul viso compaiono i segni di gravi dermatiti.

Emergenza sanitaria?

Difficili vedere sanitari da queste parti, per servizi igienici c’è una buca per l’intero campo, dietro a un telo. Nelle tende, quando va bene, si dorme sui tappeti, unica barriera con la terra, ma l’umidità è ovunque, filtra dai lati e da sopra. Difficile anche pulire in queste condizioni. Si mangia seduti dove capita. Non in tutti i campi c’è l’acqua potabile. Il cibo arriva abbastanza regolarmente grazie alle organizzazione di solidarietà, mentre i vestiti scarseggiano. Non ci sono cassonetti per le immondizie e senti il fetore a qualche decina di metri, all’estremo margine del campo. Prima del ritorno del freddo, una paio di giorni fa, c’è stato un caldo fuori stagione e le tende sono state invase dalle mosche, anche attorno alla pentola della pasta nella tenda di Adet. Lui è qui da un anno, in uno dei campi più disastrati. Ha otto figli ed è scappato da un paesino alla periferia di Aleppo, dopo una serie di bombardamenti.

Profughi meno sfortunati.

Altri sono più fortunati e si sono sistemati nei garage, se hanno soldi per pagare l’affitto. C’è chi vive in queste condizione dall’inizio della guerra in Siria, dal 2011 quando ebbe inizio la “Primavera araba”, lo scontro fra il regime di Baššar al-Asad e l’opposizione, divisa in mille rivoli.

Souzan è una donna corpulenta, ha avuto cinque figli morti sotto i bombardamenti, il marito è in Siria, imbraccia un kalashnikov contro il regime di Assad. È in una tenda dal 2013. Molte storie si assomigliano, quella di Ibrahim e la sua numerosa famiglia, di Fadi e della giovane moglie che dimostra il doppio dei suoi anni per le precarie condizioni di vita. Tutti sfuggiti alle bombe. Le donne fanno bollire l’acqua in un catino all’aperto per lavare i capelli dei ragazzini ed evitare i pidocchi. Tutto inutile. Di questo passo sarà presto emergenza sanitaria, soprattutto con il caldo le mosche ronzeranno in questi accampamenti di fortuna.

Gli orfanotrofi crescono come funghi.

Ora Reyhanli è la città degli orfani, ultimo lembo di terra della Turchia al confine sud con la Siria, vicino alla città di Antochia, ora Antakia. Qui la dimensione del fenomeno migratorio è da capogiro. Reyhanli contava, prima del conflitto, 50mila abitanti, ora sono 150mila. Le case sono triplicate, sono nati nuovi ospedali, anche privati. La guerra è miseria e business da capogiro con profitti alle stelle.

Preoccupante è la situazione degli orfani. In poco tempo sono sorti in città dieci orfanotrofi, circa migliaia ora sono seguiti e protetti. Si pensa, però, che ve ne siamo diverse centinaia che vagano per le strade e le campagne, soli e abbandonati. Nella sola provincia di Hatay si contano circa 10mila orfani. Nessuno più esclude che alcuni siano serviti come cavie umane per il trapianto di organi o preda degli orchi pedofili. Chi potrebbe cercarli? Nessuno! I racconti dei bambini sono orrori stampati sul viso. “Parlano”, riferisce Mayada Abdi, direttrice dell’orfanotrofio Bayti, “oltre che dei bombardamenti, anche dei poliziotti di Assad, che venivano ad arrestare i genitori davanti ai loro occhi e li riportavano sanguinanti o morti e ordinavano ai bambini di rimanere nella stanza con i padri morenti e gli impedivano di prestare aiuto. Oppure bruciavano il padre sotto i loro occhi o violentavano le madri davanti a loro. Ragazzini che vedevano i padri rantolare prima di esalare l’ultimo respiro”.

Nelle colonne in fuga i ragazzini erano il bersaglio preferito dei cecchini. Si colpivano agli arti per gambizzarli oppure direttamente alla testa per ucciderli. C’era anche la variante delle bombe a grappolo, proibite ma ampiamente utilizzate, tirata proprio in mezzo alle colonne umane per compiere una strage. Perché colpire proprio loro? Perché non crescano con i sentimenti antiregime”. Si può guarire da traumi così profondi? “Il trauma è già immagazzinato nel cervello, dice la direttrice, “il nostro compito è di rafforzarli e allontanarli dalla vendetta e da reazioni sbagliate. Non è facile quando si vivono traumi così forti e devastanti. Qualche risultato, però, si vede. All’inizio i disegni erano il marchio del trauma, dopo 8 mesi colorano fiori e alberi. Mi ha colpito il disegno di una bambina di 5 anni. Ha raffigurato un gattino con le lacrime agli occhi. Ho chiesto il significato e lei mi ha detto che il gattino era stato colpito agli occhi e stava sanguinando. Allora le ho spiegato che insieme saremo andati dal dottore per farlo curare”.

La speranza di mille orfani si chiama Trentino Alto Adige.

In Italia parlare di orfanotrofio è quasi una macchia nella vita di un bambino, qui è la speranza. L’associazione altoatesina Syrian Children Relief, presieduta da Amgiad e Amir Fallaha, ha fatto una scelta diversa e si occupa del sostegno economico e alimentare degli orfani all'interno del territorio siriano, nella provincia di Idlib. In particolare, dona ad ogni orfano 50 euro mensili, che gli permettono di sopravvivere. Ne sostiene circa mille! “In questi giorni è uscito dall'ospedale uno dei nostri orfani, dopo un incidente alla gamba, qualche mese fa. I dottori erano intenzionati ad amputargli la gamba, ma Syrian Children Relief ha cercato di salvargliela, e ci è riuscita”, ripete soddisfatto Amir Fallaha, medico bolzanino. Con l’associazione Amici dei Bambini, sempre di Bolzano, sostiene la costruzione di un forno e di un asilo, sempre in Siria, sempre nella zona di Idlib, da dove proviene la famiglia Fallaha. Molto attiva anche negli aiuti è l’associazione trentina Insieme Per la Siria Libera di Aboulkheir Breigheche, Imam del Trentino, e della figlia Nibras. Ma ce ne sono altre attive tra i profughi, come Speranza-Hope for children di Gaetano Turrini, commercialista di Arco.

La ragazzina che vuole diventare chirurgo.

Ruba sogna l’Italia, sogna di diventare medico chirurgo: per tornare in Siria e aiutare il suo popolo. Ruba ha appena compiuto 15 anni ed è una profuga siriana da quattro. Vive in un orfanotrofio, a Reyhanli. Ha deciso di diventare medico, ma lei corregge, “medico chirurgo”, un terribile giorno di quattro anni fa. Quella mattina era a scuola, in un villaggio chiamato Zamalka, periferia di Damasco, in Siria, quando, improvvisamente, dal cielo cominciarono i bombardamenti. «Mi sono alzata e ho visto vicino a me alcuni compagni morti, altri avevano subito gravi mutilazioni e tanto sangue. Non c’era un solo medico che ci aiutasse, che curasse i feriti, non c’era un chirurgo che operasse i miei compagni. Ecco perché voglio diventare chirurgo».













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