I volti e le storie di Auschwitz rivivono grazie ai ragazzi

“Adotto un’anima” il titolo della mostra fotografica per le vie del Giro al Sass


di Katja Casagranda


TRENTO. Si può adottare un’idea, una filosofia di vita, un comportamento, si può anche adottare un cucciolo e si adottano figli, ma quando adotti un’anima, questo ti entra dentro e va oltre la tua vita e la tua esperienza, perché può cambiare il mondo. Lo si capisce dagli occhi dei ragazzi che hanno partecipato al percorso “Ich übernehme eine Seele. Adotto un’anima”, quando incontri il loro sguardo, quando ti lasci rapire e non puoi non andare oltre, toccare le corde più profonde del tuo cuore ed farti risucchiare in un momento senza tempo dove sono state abbattute le barriere dello spazio e del tempo. Forse fra le tante manifestazioni che sanno onorando la Giornata della memoria e i tanti sforzi di mantenere vivo il ricordo, perché l’orrore della Shoah e delle tante “Shoah” che l’umanità ha avuto nel corso della sua lunga storia non possa più mettere radice, ecco, forse in mezzo a tutto questo uno degli eventi più belli e poetici, e quindi toccanti, è proprio la mostra fotografica “Adotto un’anima”. Perché non riempie l’aria di parole, ma fa il silenzio, quello stesso che si riempie di dignità e rispetto per chi non c’è più, per chi è stato vittima.

Fino al 6 febbraio, passeggiando in centro in Giro al Sass, ci si può imbattere in pannelli fotografici, venti per l’esattezza, in cui Piero Cavagna in collaborazione con Giulio Malfer fotografo e Giancarlo Stefanati per la grafica hanno ritratto diciannove ragzzi delle due classi prime delle Scuole Medie Bonporti di Trento con cui hanno condiviso un percorso parallela e di avvicinamento allo spettacolo Teatrale “Una tazza di cioccolato caldo” di Renzo Fracalossi che vedrà la prima domani alle 20.30 a Teatro Cuminetti. Non si possono non vedere quei pannelli che in gruppi per lo meno di due, come a farsi coraggio l’uno con l’altro, disarmano per i volti di ragazzi così giovani eppure così grandi. Reggono mostrandola al passante la fotografia di un ragazzino della loro età, che però è “passato per un camino ed ora è nel vento”, per dirla con Guccini. «Ritengo che quando la fotografia sia sociale - dice Piera Cavagna autore degli scatti e del percorso -non debba essere esposta in una mostra all’interno di un luogo chiuso ed accessibile solo a determinati orari. Penso invece che vada posta dove possa andare incontro alle persone, dove possa essere vista sempre a qualsiasi ora del giorno e della notte».

E infatti in Giro al Sass, anche nelle fredde giornate di questa settimana, i passanti pur frettolosi gettano uno sguardo, indicano il pannello, magari passano oltre, ma in molti si fermano, leggono una didascalia, cercano di capire, oppure si accontentano di un momento di condivisione con quei diciannove ragazzi che in realtà sono trentotto, o forse solo uno. «La mostra nasce da un percorso parallelo e concordato con Club Armonia e i ragazzi che saranno sul palco dello spettacolo “Una tazza di cioccolata calda” - racconta ancora Cavagna -Nasce in ottobre quando ho sottoposto ai ragazzi un centinaio di foto di ragazzi internati a Dachau ed Auschwitz fra cui i venti ragazzi dovevano scegliere quello che sentivano più vicino a loro. Di questi abbiamo raccontato la loro storia di cui c’è documentazione attraverso le ricerche storiche. Mancava la prosecuzione, ossia quale sarebbe stato il loro futuro. Abbiamo quindi chiesto ai ragazzi di elaborare uno scritto in cui raccontare quale vita pensavano avrebbero potuto avere, e anche la motivazione per la quale hanno scelto di adottare proprio quella anima. Il riassunto dei temi è sul pannello esposto». Piero Cavagna, che già ha alle spalle l’esperienza de “Il treno della memoria”, è infatti dell’idea che la memoria poggia sulle emozioni e che perché essa si sedimenti deve poggiare su un coinvolgimento emotivo e sul protagonismo dei ragazzi. «Hanno mostrato un grande entusiasmo e subito una profonda trasformazione, tanto che dicono di sentirsi vicino il compagno che si sono scelti. Si portano dentro qualcosa di forte ed è questo a cui si puntava, piantare dei semi così che errori del genere non possano ripetersi. Dare consapevolezza alle giovani generazioni troppo spesso superficiali e in balia di mode e promozioni pubblicitarie. Questi ragazzi hanno preso un “testimone” e lo portano agli altri in prima persona assumendosi la responsabilità di questa scelta. Un percorso con cui riavvicinarsi, ri incontrarsi e riappropriarsi anche della città come luogo sociale. In questo oltre alle istituzioni non posso che ringraziare Fondazione Caritro sempre sensibile ad operazioni come questa». Se poi parlano i pannelli ecco che Elena scrive «Ho scelto Leon perché mi fa un sacco di tenerezza, è così bello e felice e, quando lo guardo, non posso fare a meno di pensare al suo futuro, a che tipo di persona sarebbe diventato. Sono sicura che sarebbe stato un uomo buono, simpatico, un gran lavoratore. Non posso fare a meno di infuriarmi con chi ha spezzato questa felicità e impedito che potesse crescere. Mi sento molto protettiva nei suoi confronti».

Ma Leon Brajeman muore ad Auschwitz nel 1942. Karin invece spiega «Il bambino che ho scelto è piccolo, innocente e dolce. Assomiglia a mio fratello e non vorrei mai che quello che hanno fatto tanti anni fa succedesse adesso a mio fratello. Gli hanno portato via la vita! Solo perché era nato dalla parte sbagliata. Finiti i giochi e i pomeriggi sulle altalene, finiti i castelli di sabbia, il giocare a nascondino con gli amici. Basta giornate di sole, solo buio, di colpo». Il piccolo Willy Rabstein morì nelle camere a gas. Di Grazia Sonnino, Marta scrive: «Grazia sarebbe diventata una maestra o un’infermiera e mi sarebbe piaciuto tanto poterla conoscere. Magari saremmo diventate migliori amiche. Nella fotografia il suo sorriso è spento come se riuscisse a vedere i giorni che sarebbero venuti e il suo destino. Mi spiace tanto e penso molto a lei».

Lo spettacolo “Una tazza di cioccolato caldo” dopo la data al Cuminetti sarà a Mezzolombardo, Taio e Pinzolo. «Sono sicuro - dice Renzo Fracalossi anima dello spettacolo - che abbiamo centrato il senso, i ragazzi si sono talmente immedesimati che alle prove generali ci sono stati veri momenti di commozione. E’ stata ridata la parola alle anime riportatele in vita grazie alla forza del logos creatore. Forse all’inizio il clima era giocoso, ma durante il percorso i ragazzi si sono fatti sempre più consapevoli e quando ho fatto loro incontrare due sopravvissuti non hanno battuto ciglio per oltre due ore. Penso che abbiamo forgiato delle persone. Tutto saranno nella vita ma sicuramente non antisemita». I pannelli fotografici sono fra Piazza Duomo, Piazza Lodron, Piazza Battisti e via Oss Mazzurana.













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