Gilmozzi: due anni di Irap azzerata per tutte le imprese
«Investimento per la crescita: abbiamo le risorse per farlo e la spending review non dovrà mortificare il volontariato»
TRENTO. Una volta tanto occorre partire dalla fine. Quando all’ultima domanda, circa la decisione più impopolare che dovrà prendere il futuro presidente della Provincia, l’assessore dell’Upt Mauro Gilmozzi risponde così: «Non lo so. Ma scelte impopolari io le sto portando avanti da tempo. E tra chi gestisce il consenso e chi ci mette la faccia, ho sempre preferito la seconda categoria: io la faccia ce l’ho sempre messa e continuerò a farlo».
Assessore, perché sabato 13 luglio alle primarie del centrosinistra autonomista un elettore dovrebbe votarla?
Ognuno di noi porta la propria esperienza: la mia è stata in ruoli chiave nelle istituzioni in un periodo di forte cambiamento. Dal ’90 ad oggi siamo passati dal fax a carta chimica all’iPad, dalle sicurezze della fine del secolo scorso alle crisi economiche indotte dalla globalizazzione. Abbiamo vissuto un periodo turbolento, dentro il quale credo di aver svolto un ruolo riformista e innovatore assieme a Lorenzo Dellai. E questo ruolo ci permette oggi di avere un Trentino con indicatori ambientali, territoriali e sociali al top a livello europeo. E quelli economici, nonostante la crisi, sicuramente migliori rispetto al resto d’Italia.
Lo slogan della sua campagna è “Prima i nostri figli e il loro futuro”: perché?
Perché sono preoccupato per loro. Nel dopoguerra l’economia è cresciuta grazie a quattro fattori: il lavoro, la casa, la pensione e la possibilità di far studiare i figli. I sogni sono diventati realtà e si è pensato che la condizione di benessere raggiunto potesse durare per sempre. Mentre oggi per i nostri figli lavoro, casa, pensione e speranze future non sono più certezze.
Di lei c’è chi dice: uomo del fare ma con poca visione.
Rispondo che il terzo Pup del Trentino l’ho fatto io. E che credo di aver saputo coniugare una visione con la concretezza della realizzazione dei progetti: non a caso mi sono state affidate riforme difficili. Questa è la mia esperienza e credo di avere sufficiente visione, competenza e capacità di mediazione per rappresentare non il mio partito, bensì l’intera la coalizione. Che è il valore in cui credo e che ha permesso di raggiungere questi risultati.
Riforme difficili, ha detto. E impopolari, come le Comunità di valle e le gestioni associate. Ci sono stati errori?
Il senso di queste riforme è giusto: un processo di trasferimento di responsabilità e competenze al territorio. Che certo va oliato e implementato, con organismi che andranno modificati: assemblee con non più di 15 persone, per capirci, più snelle e capaci di svolgere il ruolo affidato loro. Ma la questione del rapporto tra Provincia e Comuni è antica: ci hanno ragionato gli austriaci, il duce, Kessler, Mengoni, senza mai trovare il punto d’equilibro. Ma per stimolare il protagonismo dei Comuni hanno fatto di più le mie gestioni associate, per giunta in un periodo di crisi economica, che quarant’anni di contributi.
Il primo impegno se diventasse presidente?
Dobbiamo occuparci urgentemente della crescita.
Finora non è stato fatto?
È stata costruita la base da cui partire. In questi anni abbiamo affrontato il tema del contenimento della spesa, sostenuto la liquidità delle imprese attraverso la domanda pubblica, con l’ultima manovra sono state introdotte misure anti crisi guardando in particolare al credito, abbiamo investito su università, ricerca e poli tecnologici. Non è poco. Ma adesso dobbiamo cercare di guardare oltre.
Dica concretamente come.
Indico cinque obiettivi. Primo, cambiare il ruolo di Trentino Sviluppo. Che deve avere una nuova “mission”: non più struttura provinciale di intermediazione con le imprese ma supporto per la loro internazionalizzazione, attivando le potenzialità di attrazione di sviluppo economico dei poli tecnologici. E avendo come ambito di riferimento non il Trentino e l’area dell’Euregio, ma l’intero Nordest. E poi una più incisiva funzione di coordinamento delle start-up. Che non devono però nascere per poi quotarsi in Borsa, ma impiantarsi realmente sul territorio. E ora non sempre accade.
La seconda proposta?
Far nascere in Trentino cento nuove imprese all’anno, soprattutto nel settore fondamentale della cooperazione, nel welfare, nella cultura, nell’ambiente e nel turismo. Solo così il pubblico potrà cedere competenze: serve un tessuto che si faccia carico anche di una dimensione etica e relazionale. E oggi l’economia globale si è resa conto che la cooperazione, sposando etica e solidarietà all’impresa, è la sola a reggere di fronte a sistemi economici che saltano ovunque.
Assessore, oltre che di obiettivi e scenari parli anche di strumenti e poste di bilancio.
Ci arrivavo con la terza proposta. Abbiamo garantito il sistema finanziario, recentemente anche con i 250 milioni del Fondo strategico regionale: 80 dei quali serviranno per bond alle imprese e altri 50 per Fondi di rotazione, attivando un rilancio del credito. Ma ora è arrivato il momento di dare un’ulteriore scossa al sistema delle imprese: credo che i prossimi investimenti vadano fatti sulla riduzione delle imposte. E la scossa può essere l’azzeramento dell’Irap per un periodo di due anni.
Quanto costerebbe? E dove trovare le risorse?
Abbiamo le risorse per farlo. Il gettito Irap ammonta a circa 200 milioni di euro, 90 dei quali già non sono a bilancio per via degli sgravi alle nuove imprese. Si tratta quindi di 110 milioni all’anno. E nel bilancio preventivo 2014 abbiamo previsto un “tesoretto” di 500 milioni per i prossimi tre anni. Parte delle risorse potranno venire da lì, altre ridimensionando investimenti come ad esempio il polo giudiziario o le caserme di Trento sud. È una proposta che metto sul tappeto: valutiamola e approfondiamola.
Proposta facile: chi potrebbe mai dirsi contrario all’azzeramento di un’imposta?
Attenzione però: io non dico populisticamente di tagliere una tassa e stop. Dico anche dove prendere le risorse per farlo. E quindi dove toglierle.
Aveva parlato di cinque obiettivi: ne mancano due.
Il quarto riguarda il turismo, soprattutto in termini di valutazione della “governance”, che deve andare oltre il livello provinciale. Mentre l’offerta territoriale dovrà tenere conto non solo degli alberghi ma di molti altri elementi, come ad esempio la mobilità. Infine, piena attuazione della delega sugli ammortizzatori sociali. Perché in questa fase di grandi trasformazioni, con il lancio di nuovi settori produttivi, poter spostare lavoratori da un settore all’altro è decisivo. E per tutti questi cinque punti un filo conduttore comune: meno burocrazia provinciale.
Anche lei pensa che in questi ultimi anni la Provincia sia stata troppo pervasiva?
Siamo tutti consapevoli che al mercato va ceduto tutto il possibile, tranne servizi pubblici cruciali come l’acqua e i servizi di garanzia per il territorio. Però non è questo il punto. Il tema è il Trentino che abbiamo in mente. E io penso al Trentino come a un sistema, con città e valli in interazione. Soprattutto per rassicurare il volontariato che si occupa della qualità della vita sul territorio, dai pompieri al soccorso alpino, secondo valori di gratuità e fratellanza che non possiamo mortificare nel nome della spending review. Questo concetto di qualità della vita diffusa deve essere un obiettivo, non venire vissuto come un limite. Per capirci: io penso a Trento come a una città alpina, non metropolitana.
Capitolo rapporti con Roma: come risponderà, se diventerà presidente, quando il governo busserà in Provincia chiedendo ulteriori sacrifici?
Alle ultime elezioni nazionali Pd e Patt firmavano protocolli dicendosi pronti ad accollarsi parte del debito pubblico. Noi invece abbiamo sempre detto che dopo l’Accordo di Milano abbiamo i conti in ordine, che non ci sentiamo più in debito con lo Stato e che non si può fare altro che ragionare in termini di residuo fiscale.
Il meccanismo cioè per il quale, confrontando in una regione l’intera spesa pubblica e i flussi tributari, il Trentino risulterebbe per così dire a credito con lo Stato, al pari di Alto Adige e Lombardia?
Esattamente. Le nostre analisi dicono questo. Le cifre dicono che siamo sicuramente più svantaggiati rispetto alla maggior parte delle Regioni italiane.
Il problema è farlo capire allo Stato. E alle altre Regioni.
Non è facile. Ma anche lo Stato, se vuole costruire un serio federalismo fiscale, non può che partire da questo. E comunque invito tutti a leggere la relazione di Giarda, quand’era ministro: anche lui sostiene la stessa cosa.
Quanto dobbiamo davvero temere a proposito della fine delle quote variabili, nel 2017, che lo Stato ha corrisposto finora al Trentino?
Oggi si parte da un bilancio di 4 miliardi e mezzo di euro. Al netto delle riserve all’erario, stimo che tra cinque anni ci mancheranno circa 350 milioni.
Non sono proprio pochi.
Ma 213 li risparmieremo grazie al Piano di miglioramento: se lavoriamo tutti in quella direzione, manterremo la stessa capacitò di spesa di oggi. E sarà una spesa molto più qualificata. Anche in questo senso va letta la mia proposta sull’Irap, che non inciderebbe affatto sulla spesa ordinaria, ma costituirebbe invece un investimento in grado di rilanciare l’economia.
E i rapporti con Bolzano senza più Durnwalder? Conosce Arno Kompatscher, il probabile futuro presidente della Provincia di Bolzano?
Sì. Tra l’altro è di Fié, veniamo entrambi da località turistiche. Ha una visione compiuta di regione alpina, dimensione che va oltre l’appartenenza linguistica. Ci capiremo molto di più, perché questa è la sfida: avere più competenze perché viviamo in una terra di montagna.
Non quindi per via di lontani retaggi austro-ungarici?
No, il passato non c’entra. L’autonomia è uno strumento che va usato con consapevolezza, per mantenere le nostre genti su questo territorio: l’obiettivo principale dev’essere questo.
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