Fradusta, così muore un ghiacciaio
Era il secondo delle Dolomiti, ora è ridotto ai minimi termini. E i turisti salgono ad ammirarlo per l'ultima volta
TRENTO. Era il 2009 quando gli esperti del comitato glaciologico della Sat avevano previsto la fine del ghiacciaio della Fradusta entro il 2015. Ed eccoci qui, al cospetto di questo ghiacciaio morente che – nonostante un paio di inverni molto nevosi e un'estate autunnale come quella dell'anno scorso che ne hanno prolungato l'agonia – ha le stagioni contate: quest'anno c'è, l'anno prossimo si vedrà.
Così muore un ghiacciaio, con l'acqua che scorre abbondante (anche di notte) producendo uno scroscio che pare la colonna sonora del riscaldamento globale. E sono tanti i turisti che in questi giorni hanno raccolto l'invito lanciato sei anni fa dalla Sat come conclusione di un rapporto pubblicato sul bollettino degli alpinisti tridentini: «Andate a vederlo, finché siete in tempo».
Si sale in funivia da San Martino di Castrozza (sempre che non abbiate gambe per affrontare i mille metri di dislivello iniziali) e poi si cammina per un paio d'ore, su e giù lungo gli altopiani rocciosi delle Pale di San Martino che sono uno dei luoghi terrestri più simili alla Luna.
Nelle prime ore del pomeriggio, quando è già ora di rientrare a valle, il termometro segna 16 gradi centigradi che sono tantissimi a 2.600 metri di quota dove il laghetto turchese (che nelle settimane del disgelo ricorda l'Islanda) raccoglie le acque della fusione del ghiacciaio: turisti in pantaloncini corti e maglietta, c'è pure chi si toglie le scarpe per rinfrescarsi i piedi, con questa strana emozione – tra la tristezza e la rassegnazione – che produce una storia antica quando giunge al termine.
Era il secondo ghiacciaio delle Dolomiti dopo la Marmolada, all'epoca in cui l'alpinista Paul Grohmann, il primo a salire sulla vetta della Regina, descriveva estasiato queste «montagne dalle forme mai viste, molte delle quale ricoperte da scintillanti mantelli di ghiaccio». Ma la Fradusta ormai è rimasta senza quell'enorme mantello bianco che a cavallo fra l'Ottocento e il Novecento, secondo alcune stime probabilmente ottimistiche, si estendeva per circa 200 ettari. C'erano sicuramente un centinaio di ettari ricoperti dal ghiacciaio negli anni Cinquanta, quando venne scattata una cartolina in bianco e nero che testimonia la storia di questa montagna ricoperta di ghiaccio e neve, di cui è rimasta solo una lingua nerastra che in questi giorni alimenta il laghetto.
Se chiedete agli esperti vi risponderanno che il ghiacciaio della Fradusta è ormai un ghiacciaio roccioso, insomma un “rock glacier”, cioè l'ultimo stadio di un ghiacciaio morente, quando la roccia si mescola all'acqua gelata e il bianco si sporca, incapace ormai di riflettere i raggi del sole in quest'estate bollente.
L'inizio della fine fu nel 2003, l'estate terribile, quando il ghiacciaio si spezzò in due, con una grossa frattura di roccia tra la parte superiore e quella inferiore: gli esperti capirono allora che il ghiacciaio aveva gli anni contati.
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Se in cinquant'anni i ghiacciai delle Dolomiti hanno perso dal 30 al 50 per cento della loro superficie, qui ai piedi della Fradusta il ghiacciaio si è ridotto in pochi decenni ai minimi termini, perdendo oltre il 90 per cento della sua superficie. Perché qui – tra il 2.600 e i 2.900 metri di quota – le pendenze ridotte non provocano l'accumulo di valanghe e la montagna non offre sufficiente riparo dal sole. Ecco perché – senza altre variabili in gioco – questo ghiacciaio è un termometro perfetto che racconta il riscaldamento dell'ambiente in cui viviamo.
E per un singolare contrasto (che però è solo un'incredibile coincidenza) poco distante c'è quella buca nell'altopiano (Busa di Manna) dove è stata registrata la temperatura più bassa d'Italia, con 49,6 gradi centigradi sotto zero. Un picco di gelo polare che però – come ha più volte spiegato Giampaolo Rizzonelli di Meteo Levico Terme, che si occupa di queste misurazioni assieme agli appassionati di Meteo Triveneto – è assolutamente inutile per il ghiacciaio perché si verifica solamente in alcune notti serene, con particolari condizioni di vento e pressione e solo in fondo alla dolina, dove si forma un “lago d'aria gelata”.
Se il ghiacciaio della Fradusta si sta mostrando agli ultimi escursionisti, tutti i ghiacciai delle Dolomiti sono in realtà in pericolo. Perché non basta certo un inverno nevoso come quello di due anni fa per invertire una tendenza che dura ormai da decenni, con un aumento delle temperature che nei grafici dei meteorologi registra un'impennata attorno agli anni Ottanta. Erano gli anni in cui – chissà quanto consapevoli di quanto sarebbe accaduto – dicevamo addio allo sci estivo che veniva praticato con regolarità sulla Marmolada. Erano gli anni in cui hanno cominciato a comparire anche sulle Dolomiti i primi cannoni per la neve artificiale. Erano gli anni in cui il ghiacciaio della Fradusta ha cominciato a lanciare l'allarme.