Fondi all’università, scontro sui precari
Galligioni (Adi): «Troppi contratti a termine indeboliscono la ricerca». La rettrice: «No, il 50% di assunzioni sarà di giovani»
TRENTO. Taglio dei costi di amministrazione per 2,3 milioni di euro. Riduzione delle spese discrezionali, con un meno 15% per affitti e noleggi. Tetto al costo del personale del 65% dei finanziamenti provinciali e delle entrate delle tasse universitarie. Una sostituzione ogni 5 pensionati per quanto riguarda il personale tecnico-amministrativo, mentre per quanto riguarda i docenti, il 50% del turn over dovrà essere su posizioni di ricercatore. È la cura dimagrante contenuta nel patto di stabilità dell’ateneo per il 2014, frutto di un’intesa tra la Provincia e l’Università. La dipendenza dai finanziamenti di Piazza Dante, visto che quelli nazionali latitano, non mette al riparo l’ateneo dai sacrifici. Ma la rettrice Daria de Pretis è soddisfatta: «Sono molto contenta di quello che abbiamo concordato con la Provincia, è un patto che tiene conto delle esigenze dell’ateneo e mette ordine ad un regime che prima era fatto di deroghe alle deroghe».
Risparmi. La rettrice non li considera tagli. «Non c’è stato nessun taglio - spiega - secondo quanto avevamo concordato con la Provincia abbiamo predisposto un nostro piano di miglioramento che prevede un certo risparmio sulle performance amministrative. Sono risorse che non ci vengono tolte ma potranno essere investite su altro, ovvero sulla ricerca e la didattica».
Personale. Ma è il capitolo del personale, in particolare i contratti a tempo, che ha sollevato le preoccupazioni di dottorati, assegnisti e ricercatori. «Il tetto dei costi del personale sul bilancio», sottolinea de Pretis, è stato portato dal 63 al 65%, un aumento importante di questi tempi per la voce che più pesa sui conti. Il limite del 20% del turn over, ovvero una sostituzione ogni 5 pensionamenti, vale per il personale tecnico-amministrativo, in linea con i vincoli per tutte le pubbliche amministrazioni trentine. Per il personale docente, il turn over è invece garantito al 100%: su 10 docenti che vanno in pensione, 10 vengono sostituiti, e nel montante sono incluse anche le posizioni da ricercatore. Ma di questi 10, il 50% dovrà essere destinato a contratti di ricerca. «Le posizioni di ingresso nella carriera accademica - chiarisce la rettrice - sono tutte a tempo determinato in base alla legge statale, non ci sono più i ricercatori a tempo indeterminato. L’impegno che noi ci siamo presi è che il 50% di ciò che recuperiamo dal turn over vada su posizioni da ricercatori di tipo A (contratto di tre anni, rinnovabile una volta, ndr) e di tipo B, queste ultime posizioni di tipo tendenzialmente indeterminato perché se dopo i tre anni il ricercatore finisce il contratto e viene abilitato, accede automaticamente alla posizione di associato. È esattamente il contrario di quello che si dice, i giovani sono protetti proprio dal fatto che destiniamo a loro la metà delle risorse del turn over».
L’allarme dell’Adi. Valentina Galligioni, ricercatrice del CiBio e presidente dell’associazione dei dottorandi e dottori di ricerca, cita la quarta indagine Adi su dottorato e post-doc: le posizioni bandite in Italia, dal 2008 a oggi, sono calate del 19%, numeri che vedono l’Italia peggiorare ulteriormente la sua posizione nel confronto con gli altri Paesi europei in termini di spesa per istruzione superiore e ricerca. «Oggi tra chi fa il dottorato, solo 3 su 100 riescono a diventare professore. Può funzionare in una realtà dinamica, non in un Paese dove la ricerca ha pochi finanziamenti. Anche gli assegnisti di ricerca hanno contratti a termine e dopo quattro anni, a meno che non esca un bando, non può continuare a lavorare all’interno dell’Università. Così la generazione tra i 30 e i 40 anni, inquadrata nel sistema della ricerca, sta già andando avanti, e sarà sempre di più così, con contratti a termine, assegni o ricercatori di tipo A, e questo continuerà finché non ci sarà un aumento del turn over con posti di ricercatore di tipo B che si trasformano in cattedre da associato. Una prospettiva che con questi tagli oggi si allontana, e la condizione di precariato inciderà sulla qualità della ricerca», spiega Galligioni. La riduzione dei fondi provinciali la preoccupa non poco: «Con meno finanziamenti si potranno fare meno progetti di qualità, soprattutto nei settori di hard science che richiedono l’uso di macchinari costosi, e sul fronte del personale avere un eccessivo movimento di ricercatori rischia di impoverire la ricerca. Se arrivano ricercatori di alto livello scientifico sarà sempre più difficile farli rimanere. L’Università di Trento deve decidere se vuole essere di eccellenza o si accontenta di essere un ateneo nella media».
©RIPRODUZIONE RISERVATA