Ex Frizzera, scheletri dopo lo sgombero

Passaggi di proprietà ma l’area è ferma da anni. Dalfovo: «Il Comune intervenga, 6 mesi o l’operazione fallisce»


di Chiara Bert


TRENTO. Sei mesi fa le ruspe hanno cominciato ad abbattere: via i piani e le pareti interne, via tutti gli infissi, così da rendere il rudere dell’ex concessionaria non più abitabile, ed eliminare uno dei tanti rifugi di disperati della città, una terra di nessuno che spaventava i residenti di Trento Nord. Ma la demolizione dell’ex Euromix di via Brennero è rimasta a metà, per l’abbattimento definitivo servono speciali precauzioni perché la copertura dell’edificio è fatta di lastre di eternit. E così quello che da anni era un rudere si è solo trasformato in uno scheletro ancora più inquietante. Ci vorranno anni - molti anni - perché l’area si trasformi e riprenda vita.

A bloccare i progetti sul comparto sono, ad oggi, i complicati assetti proprietari. Sono passati 5 anni da quando, nel 2007, i 14 mila metri quadrati di proprietà del commercialista Bruno Frizzera furono acquistati da una cordata guidata dall’immobiliarista Loris Todesco. Valore 20 milioni di euro, una riqualificazione annunciata come imminente: residente, negozi, uffici e un grande parco pubblico. «Porteremo le nostre idee al Comune in un paio di mesi», annunciava Todesco. Ma due anni dopo l’area passò di mano a un fondo d’investimento, Raetia sgr, che coinvolge banche e privati. Il fondo immobiliare possiede oggi il 52% dell’area, mentre circa 5.700 metri quadrati sono di proprietà dell’imprenditore Rino Albertini, altri 3.300 metri quadrati appartengono al Comune di Trento più proprietà minori delle Ferrovie e di Trentino Trasporti.

In totale due ettari e mezzo di terreni su cui il piano regolatore prevede di poter edificare 56 mila metri cubi tra alloggi, commercio e terziario. Ma l’operazione di recupero è ferma. «Ho avuto più di un incontro con gli altri proprietari e c’è la volontà di partire», spiega il vicesindaco Paolo Biasioli, «ma va trovato un accordo tra tutte le parti in condizioni che la crisi ha reso molto diverse da quelle di 4-5 anni fa. L’ipotesi è di intervenire con un piano guida sull’area, ma occorre anche affrontare il nodo della bonifica dei terreni (si parla di costi per 2 milioni, ndr)». Il Comune punta sul comparto per ricavare una quota di alloggi a canone moderato. Se i soci del fondo immobiliare spingono perché si acceleri, a frenare è Albertini, che deve anche trovare una soluzione alternativa per una ditta di sua proprietà ubicata sull’area e che pare più interessato all’operazione che lo vede coinvolto poco più a nord, su ex Sloi e Carbochimica.

La prospettiva, ammette Biasioli, è che passeranno anni prima di avviare i cantieri: «Ma dobbiamo farci trovare pronti con i progetti approvati quando si spera la crisi sarà alle spalle». Per i privati parla il consulente della società, l’architetto Arrigo Dalfovo: «È una vergogna che un’area così strategica, un biglietto da visita per la città, sia ridotta così. Il rischio è che, a causa dei ritardi, nel fondo restino solo le banche mentre gli imprenditori se ne vadano». Per salvare l’operazione, avverte Dalfovo, i tempi sono strettissimi, 6 mesi al massimo: «Finora il Comune è stato a guardare , ora è tempo che si muova e si faccia carico di una regia pubblica com’è avvenuto per l’Italcementi. Si faccia un accordo di programma o la situazione non si sbloccherà». E gli scheletri resteranno per molto tempo ancora.

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