Droga a fiumi dai Balcani Chiesti 144 anni di carcere
Spaccio in Valsugana. Diciannove gli imputati del processo che si concluderà venerdì prossimo La pena più alta richiesta è di 20 anni: per tutti pesa la contestazione dell’associazione a delinquere
Trento. È di 144 anni e 8 mesi la pena complessiva richiesta dal pm Davide Ognibene per 19 degli imputati dell’operazione Zaghi, accusati di avere acquistato e venduto, sulle piazze della Valsugana, chili e chili di stupefacente sfruttando un nuovo canale per il Trentino, quello balcanico. Le importazioni di droga documentate (soprattutto dalla Bosnia con passaggi obbligati in Croazia) ammonterebbero a 12 chili di coca e 8 di marijuana, lo stupefacente sequestrato a quasi 12 chili. Un anno fa l’operazione, che aveva portato anche al sequestro di armi. Ieri in tribunale le arringhe difensive, che verranno completate venerdì prossimo, giorno in cui è attesa anche la sentenza. I reati contestati vanno dall’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, passando per l’estorsione, il tutto caratterizzato dal reato transnazionale.
La contestazione dell’associazione a delinquere fa sì che le pene richieste siano molto aspre. Si va da un massimo di 20 anni a un minimo di 2, ma nella maggioranza dei casi siamo attorno ai 6-8 anni. Ecco il dettaglio: 20 anni per Eldin Kametovic, 15 per Meris Halilcevic, 12 per Zahid Serifovic, 8 per Anis Serifovic, Antonio Garollo e Matteo Galeazzo Piccolotto, 6 anni e 8 mesi per Bruno Oss Emer, 6 anni per Elisa Moser, Simone Puecher, Cristian Ferrari, Mustapha Jelbaoui, Alessandro Dorigoni, Franco Paoli, Dragan Hilak, Andrea Ravanelli, Boris Torbica e Drazen Grabovac, 5 anni più 5 mila euro di multa per il solo reato di estorsione (assoluzione sul resto) in caso di risarcimento e 6 anni più multa senza risarcimento per Andrea Major, 2 anni infine per Mattia Broseghini.
L’organizzazione
A tenere i contatti al di là della frontiera sarebbero stati Zahid e Anis Serifovic, nati in Bosnia Erzogovina ma residenti da tempo a Pergine. I fratelli Serifovic sono considerati i promotori del gruppo assieme al trentino Antonio Garollo, titolare di un’azienda agricola a Levico e noto commerciante di polli. Sarebbe stato lui a garantire al gruppo (con 100 mila euro) la disponibilità economica necessaria per finanziare l’attività. Gli altri imputati avrebbero avuto diversi ruoli nell’organizzazione, da chi metteva a disposizione la sua auto a chi si occupava dello stoccaggio della merce.