Dante di destra? Anna Pegoretti: «Dipende dalla lettura che se ne fa»
Ha fatto discutere l'affermazione del ministro della cultura Sangiuliano. Abbiamo chiesto un parere alla dantista trentina
TRENTO. Davvero Dante Alighieri è stato «il padre del pensiero politico di destra» come ha sostenuto il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano? Una affermazione che fa discutere. E noi abbiamo chiesto un parere ad una esperta dantista: la professoressa Anna Pegoretti, trentina, che insegna all’Università Roma Tre. Pegoretti ne sa, anche perché il suo ultimo lavoro è dedicato proprio a questo tema. Si intitola «Dante a Trento! Usi e abusi di una retorica nazionale (1890-1921)» ed analizzando i documenti relativi alla costruzione del monumento di Trento, traccia un quadro della situazione politica dal Risorgimento al fascismo.
Professoressa, nel suo libro lei riporta già diversi casi di una «contesa» politica su Dante nell’Ottocento. Ad esempio fra gli ambienti cattolici che vedono Dante “padre del pensiero cristiano” e liberali nazionalisti. Ieri come oggi?
Questo è un esempio, con agganci anche trentini. Nell’Ottocento il trentino don Felicetti scrisse un libro sulla Divina Commedia come catechismo, come da parte socialista ci sono invece scritti di Cesare Battisti o Antonio Pischel. Oppure di Gaetano Salvemini. Diciamo che - allora come oggi - c’è un Dante per tutti e per tutte le stagioni.
Ma quindi Dante era di destra o di sinistra?
Partiamo dal dato di fatto che Dante fu il primo a scrivere nell’epoca in cui i Fiorentini inventano le banche e nasce il vero capitalismo europeo. Lui si scaglia contro tutto questo, contro “la gente nova e i sùbiti guadagni”. La sua è una feroce critica anti-capitalista, quindi verrebbe da dire di sinistra. Ma allo stesso momento è anche un moto anti-progressista, quindi in senso lato di destra, se intendiamo la destra come conservatrice. Come dicevo, ci sono tanti e tali contenuti, che sono spesso “rigirabili” a piacere. Ma la vera differenza, in queste argomentazioni, la fanno la qualità e lo spessore dell’analisi e dell’argomentazione.
Quindi esistono tantissime “letture” di Dante.
Recentemente ci sono letture molto interessanti, ad esempio, che offrono una chiave di interpretazione della Divina Commedia dal punto di vista della cultura gay, oppure queer o femminista. Questo perché il testo dantesco ha una complessità ed una profondità che lo rendono molto contemporaneo.
Dal Risorgimento in poi, infiniti tentativi di “arruolare” Dante.
Nell’Ottocento, ad esempio, il Papa propende per l’idea che Dante, prima di essere un patrimonio degli italiani, sia un patrimonio della Chiesa universale. Questo ha una radice storica ben precisa. Gli italiani hanno trasformato Dante nel simbolo della loro Patria, e questa è la radice di ogni discussione. Gli esiti, dipendono dal livello di partigianeria.
Ad esempio?
Il fatto che Dante sia stato trasformato nell’immagine dell’italiano per eccellenza, ha portato a farne un “ambasciatore del made in Italy”. E questo anche con il precedente Ministro della Cultura, Franceschini, e persino con il Capo dello Stato: nel 2021, nell’aprire le celebrazioni dantesche, entrambi hanno parlato di “Dante rappresentante dell’italianità”. Ma tutto questo non è evidente nelle opere di Dante. È una costruzione successiva, che evidentemente ha attecchito bene.
E questo come viene applicato nella politica di oggi?
Quando questa figura di Dante come simbolo di italianità si trasforma in rivendicazione nazionalistica, ecco che entriamo nel territorio dei messaggi della destra. Mentre l’idea di Nazione è sempre stata più problematica per la sinistra.
I Guelfi erano di sinistra e i Ghibellini di destra? O viceversa?
Impossibile dirlo. Destra e sinistra sono categoria moderne, proiettarle all’indietro è quasi impossibile. Nell’800 si parla talvolta di neo-guelfismo, ma è un movimento di pensiero che si riferisce al problema della laicità dello Stato, e sfocia nell’idea che per unire l’Italia sia meglio una figura come quella del Papa, piuttosto che quella di un Re. Ma non ha senso parlare di chi fosse di destra o di sinistra. A scuola, spesso, la distinzione fra Guelfi e Ghibellini viene molto semplificata. In realtà quella fase storica ha molte stratificazioni e distinzioni, e occorrerebbe tenere conto della distinzione fra corporazioni e mestieri, distribuzione e differenze dei ceti sociali, forza e pensieri di nobili e mercanti.
E Dante come si collocava?
Il pensiero di Dante in realtà muta molto nel corso degli anni della sua vita. Era sicuramente un politico, a 30 anni, a Firenze e da questo ne ricaverà l’esilio perpetuo dalla città; ma è diverso dal Dante che si muove nell’Italia centro-settentrionale, sempre sperando di essere riabilitato. Ed infine è un Dante diverso da quello che - perse le speranze di rientrare - si ritira quindi alla corte di Ravenna per scrivere la Commedia. Insomma, è un panorama in mutazione, che porta alla fine alla sua grande utopia imperiale.
Come descriverebbe quindi l’ideale politico di Alighieri?
Se cambia il pensiero di Dante negli anni, non cambia mai la sua idea politica. Dominata dalla constatazione dell’enorme tasso di violenza della politica di allora, che era spesso lotta armata. Letteralmente ci si ammazzava per la strada. Di qui l’invettiva dantesca, “Ahi serva Italia, di dolore ostello”. Dove è chiaro che per Dante il tasso di violenza è intollerabile. La soluzione idealizzata dal poeta è quella di un potere assoluto e legittimo in sé, che possa mettere fine a tutto questo. Se il potere è talmente assoluto da avere tutto e non dover desiderare altro, cioè scevro dall’avidità, ci sono le condizioni affinché il sovrano regni in condizioni di giustizia e pace.
Di nuovo: l’idea di un potere assoluto, diremo che è molto di destra...
Sì, ma allo stesso modo, ipotizzando un Imperatore, con territori molto vasti sul modello dell’impero Romano, ecco che si propone un modello antitetico a quello dello Stato nazione.
Che visione aveva Alighieri dell’Italia?
Dante, per primo, ha intravvisto soprattutto un luogo dove si parlano diverse varianti di una stessa lingua. Per Dante, quindi, più di tutto l’Italia viene riconosciuta come uno spazio linguistico. Più che parlare di Dante “padre del pensiero di destra” o “padre della patria”, possiamo concordare: egli fu il padre della lingua italiana.
Anna Pegoretti presenterà il suo studio su Dante oggi, lunedì 23 gennaio, alle ore 17.30 a Trento presso la Fondazione Bruno Kessler (Aula Grande), in via Santa Croce 77. A cura della Società Trentina di Studi Storici.