Così ogni ospedale avrà la sua chirurgia
Per la mano Cles e Tione, il piede a Rovereto e Borgo, la spalla a Cavalese Il progetto: più casi, più qualità, minori attese. Un anno per andare a regime
TRENTO. Devi operarti alla mano? Sarai indirizzato a Rovereto, Cles o Tione. Hai necessità di un intervento alla spalla? Gli ospedali di riferimento diventeranno Rovereto, Cles e Cavalese. Per l’ernia in laparoscopia il top saranno Trento, Cavalese e Rovereto, per la chirurgia venosa Tione, Borgo e Arco, per quella proctologica Arco e Cavalese. Al momento della visita, il paziente sarà indirizzato all’ospedale più adatto al suo tipo di problema: potrà sempre rifiutare, sapendo però che i tempi di attesa si allungheranno di molto. E un’ernia inguinale che a Cavalese potrebbe essere operata nel giro di due settimane, a Trento potrebbe attendere un anno e mezzo.
«Basta con il “di tutto un po’”», ha spiegato ieri il direttore generale dell’Azienda sanitaria Luciano Flor nel presentare il progetto di riorganizzazione dell’attività chirurgica (si parla degli interventi programmati e non delle urgenze) negli ospedali trentini. Parola d’ordine: specializzarsi e diventare, se possibile, strutture di eccellenza, garantendo tanti casi, alta qualità, minori liste d’attesa. «Strada obbligata - insiste il direttore del servizio ospedaliero provinciale Fernando Ianeselli - non c’è nessuna alternativa credibile se si vuole tenere in piedi un modello sanitario territoriale, che non accentra tutto a Trento (e Rovereto)», ma garantisce che vivano anche gli ospedali periferici (Cles, Cavalese, Borgo, Tione, Arco). Di qui la scelta dell’Azienda sanitaria di definire dei mandati chiari per i singoli ospedali, dove i pazienti dovranno trovare le professionalità migliori per il loro tipo di intervento. «Un’esperienza innovativa e sperimentale», la definisce Flor. «Un modello anche per altri territori di montagna che vogliono evitare lo spopolamento per mancanza di servizi», gli fa eco l’assessore alla salute Luca Zeni. Modello che certo fa e farà i conti con difficoltà e resistenze: le ambizioni dei chirurghi, che dovranno accettare di migrare anche in periferia, e le paure dei pazienti, che dovranno rinunciare all’idea di farsi operare sempre nell’ospedale più vicino a casa.
L’importanza della casistica. «Ma i numeri contano», ripete l’assessore Zeni, «gli studi ci dicono che una casistica importante che consenta a chirurghi, équipe e strutture di maturare una certa esperienza, è sinonimo di alta qualità della prestazione. E questo vale in particolare per la cardiologia interventistica, la chirurgia cardio-vascolare, la laparoscopia e in molti interventi di chirurgia oncologica.
Le soglie minime. Su mandato della giunta provinciale, l’Azienda sanitaria ha fissato le soglie minime dei volumi di attività: si va dalle 100 colecistectomie per struttura (e 20 per ogni chirurgo) alle 250 ernie (50 per chirurgo), dagli 80 interventi al tunnel carpale (30 per chirurgo), ai 120 interventi al piede (50 per chirurgo). In campo oncologico, un chirurgo dovrà aver operato almeno 10 pazienti per il tumore al fegato e al polmone, 15 per il colon e la tiroide, addirittura 75 per la mammella. «Molti dei nostri chirurghi hanno già una casistica superiore, ma in alcuni casi questi obiettivi non sono ancora stati raggiunti», ammette Flor. Specializzare gli ospedali servirà proprio ad aumentare i casi trattati, e l’Azienda annuncia che per garantire la massima trasparenza metterà on line la casistica, reparto per reparto.
Partite ortopedia e chirurgia. Il nuovo sistema è partito in via sperimentale lo scorso mese di ottobre per ortopedia e chirurgia e richiederà tutto il 2016 per andare a regime: via via si aggiungeranno le altre discipline chirurgiche (otorinolaringoiatria, oculistica, chirurgia maxillo-facciale e odontostomatologia, chirurgia pediatrica, gastroenterologia) e di ambito diagnostico (radiologia e anatomia patologica).
I direttori. I responsabili dei dipartimenti hanno dato il loro via libera. «La qualità non viene dal grande chirurgo ma dalle risposte in tempi adeguati», sottolinea Giorgio Bianchini, direttore del dipartimento ortopedico, «nel nostro settore abbiamo una mole di lavoro pesante, specializzandosi si riescono a ridurre le attese. Per la protesi all’anca siamo passati da 2 anni a 30-35 giorni, per l’artroscopia al ginocchio oggi tutti e sei i centri ortopedici sono in grado di dare risposta in 30-40 giorni, i tre centri che si occupano della spalla 20-25 giorni, per i tunnel carpale (in ambulatorio) bastano un paio di giorni di attesa. Per Giovanni de Pretis, direttore del dipartimento di chirurgia, «questo sistema è l’unico modo per alzare i livelli qualitativi, l’evoluzione della chirurgia oggi rende necessario specializzarsi, non esiste più il chirurgo che fa tutto».