TRENTO. Nel corso del convegno di ieri a Trento sulle "dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario" è stata letta la lettera di un uomo bolognese, malato di Sla, che ha affidato la propria testimonianza alla dottoressa Danila Valenti, responsabile Cure palliative di Bologna. La riportiamo.
di Marco S.*
Con la fine del 2013 assieme alla bella notizia della mia pensione anticipata (…) me ne hanno comunicata un'altra terribile: comparsa della Sla in una forma parecchio aggressiva. La cosa più terribile, che mi dava un assillo continuo, era il fatto sicuro che ad un certo punto non mi sarebbe stato più possibile respirare autonomamente. Questo pensiero mi ha assillato e fatto soffrire in modo atroce (…) Le soluzioni che mi venivano prospettate in ospedale erano più o meno invasive, come tracheotomia e pompa ossigeno unita a Peg. Nessuna di queste era per me accettabile. Ho così pensato più volte a come fare per mettere in atto una qualsiasi forma di suicidio che però avrei voluto incruenta e non violenta, ma in certo qual modo nobile. Non sono riuscito a trovarla. La migliore idea mi è parsa fare ricorso a un'associazione svizzera che pratica il suicidio assistito indolore, sicuro e a parer mio anche dignitoso. Ero però già in condizioni di non riuscire da solo e ho dovuto chiedere la collaborazione di mia moglie. Questo è stato un problema, perché per lei è inconcepibile una simile azione e non è riuscita a cogliere, benché più volte lo abbia spiegato, che la vera ragione era la tranquillità della certezza di riuscire a evitare una sofferenza insopportabile. Insopportabile al punto da costringerti, forse, a scelte che a mente fredda non avresti mai fatto. E anche questo è stato motivo di grande angoscia, dovere mettermi in astio con mia moglie che ha condiviso con me i tanti momenti penosi che hanno caratterizzato la mia esistenza. (…) Mi ha molto disturbato il fatto che il mio rifiuto alla respirazione e alimentazione assistita, sì da preferire la morte, fosse considerato frutto di una forma di depressione e non accettazione della malattia, quando invece proprio la presa di coscienza della malattia e la conseguente non vita che ti si prospetta in alternativa, conduce alla scelta di lasciar campo libero alla malattia stessa. Torno adesso al tema principale di questa ansia terrorizzante per il futuro più o meno prossimo che ti assilla fin dai primi giorni. Per me ha avuto fine quando ho preso contatto e avuto il primo colloquio con il personale delle cure palliative dell'ospedale. Avere l'assicurazione di una fine in totale assenza di dolore e sofferenza ha fugato ogni timore. Sapere che c'è la possibilità di far passare ogni male e in particolare quella terribile sensazione che l'aria non riesca a entrare nei polmoni (…) ha trasformato completamente la situazione. Mi è tornato l'entusiasmo nel fare quelle poche cose che mi sono rimaste possibili. Ho anche avuto maggiore partecipazione negli incontri con gli amici e con le persone in genere. Sono riuscito a superare con maggiore serenità i tracolli che nel tempo hanno comunque continuato a succedersi. Sono molto migliorati i rapporti con mia moglie e forse ed è forse questa la migliore delle conquiste. Nel momento in cui il malato prende pienamente coscienza della situazione in cui si trova e viene informato circa l'inevitabile momento in cui gli sarà impossibile respirare autonomamente, già fin da subito è indispensabile che venga informato circa tutte le possibili modalità che possono esser emesse in atto, sia l'ausilio delle varie apparecchiature sia la possibilità delle cure palliative. Questo senza aspettare che si manifestino le prime difficoltà a respirare. A me, sapere questo e sapere che non sarei stato abbandonato nel momento della sofferenza, ma aiutato a non vivere la sofferenza, avrebbe evitato angosce, angosce, angosce e notti insonni. Ora lo so.
*Marco S. è morto la primavera scorsa (senza soffrire)
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