Consiglio, in 68 anni 23 elette su 525 consiglieri

Maestri (Pd): «C’è un problema, vogliamo parlarne?». Doppia preferenza, in aula muro contro muro. Borga: «Entra chi prende più voti». Mediazione lontana


di Chiara Bert


TRENTO. Ventitre donne elette in consiglio provinciale su 525 consiglieri dal 1948 ad oggi. Lucia Maestri, prima firmataria con Giacomo Bezzi del disegno di legge sulla doppia preferenza di genere (due preferenze, la seconda di genere diverso dalla prima, pena la sua decadenza) e le liste paritarie (50% uomini e 50% donne), cita i numeri e si rivolge all’aula: «È credibile che in 68 anni in Trentino le donne brave, competenti, qualitativamente robuste, siano state solo 23?». «O abbiamo costruito una classe dirigente solo maschile, e questo è un problema, o il Trentino si deve preoccupare di non saper valorizzare le competenze femminili che esistono in questa terra», incalza la consigliera Pd, che in un lungo intervento ha difeso con forza la proposta di legge, provando a smontare gli argomenti di critica.

In consiglio le posizioni, trasversali agli schieramenti (Bezzi e Bottamedi sostengono la legge, Pt ha una posizione più tiepida di Civica, Lega e M5S), restano lontane e la discussione cominciata ieri - come ampiamente previsto - lo ha confermato. Depositati ci sono 5377 emendamenti (solo al termine della discussione generale il presidente Dorigatti annuncerà quanti sono quelli accolti) e il disegno di legge - come già accaduto per la legge contro l’omofobia - potrebbe finire su un binario morto se una parte delle minoranze decidesse di adottare un ostruzionismo duro. La maggioranza al momento dichiara di voler andare fino in fondo e ieri il governatore Ugo Rossi ribadiva, quasi a voler rinfrescare la memoria a quei consiglieri di Upt e Patt che vivono il ddl con molti mal di pancia: «Il nostro programma è chiarissimo e impegnativo per tutti gli eletti nel centrosinistra autonomista».

Ma l’aula è anche il luogo delle possibili mediazioni. Quella che si potrebbe affacciare è contenuta in un emendamento a firma Gianfranco Zanon (Pt): le preferenze restano tre ma la seconda (per chi sceglie di darne due) dev’essere di genere diverso dalla prima; il rapporto tra generi in lista passerebbe da 50-50 (proposta in discussione) a 60-40% (come prevede la legge nazionale per i consigli regionali). Un compromesso che trova aperture da parte di Filippo Degasperi (M5S) ma anche nelle fila della maggioranza. «Se si vuole incidere davvero - insiste Zanon - questo è il modo per aumentare la probabilità che le donne vengano elette». Agli uomini la terza preferenza garantirebbe la possibilità di continuare a fare ticket tra loro, che verrebbe invece meno con la doppia preferenza di genere, eventualità che spaventa molto le seconde linee. Sul rapporto tra preferenze e qualità ha insistito ieri Maestri: «Non sempre a più preferenze corrisponde più qualità, non è così». «Non vogliamo la carità, chiediamo normalità e parità di accesso. La posta in gioco non è il risultato ma la possibilità di accedere alle cariche, il successo lo determinano i cittadini con il voto». E a chi sostiene che invece delle preferenze di genere servono politiche di conciliazione, ha ribattuto: «In Trentino abbiamo fatto molto, ma in consiglio provinciale siamo ancora 6 su 35».

Dal fronte del no ieri è intervenuto Claudio Cia: «Questa norma è una forzatura che limita la libertà dell’elettore. Quando si mettono in gioco, le donne vengono premiate». Il consigliere ha attaccato il Comitato Non Ultimi («Sembra un album fotografico del Pd»), dichiarando che sarebbe disposto a votare il ddl se venisse tolta la composizione paritaria delle liste. Per Rodolfo Borga (Civica), il più acerrimo nemico della legge, «alla base di queste norme ci sono ragioni di tipo culturale, politico e anche ben più prosaici interessi personali e trasversali. Il punto è che la democrazia è un sistema fatto per portare nelle assemblee legislative chi prende più voti, senza interferenze». E secondor Claudio Civettini (Civica) la doppia preferenza «potrebbe addirittura portare al controllo del voto».

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