Consiglio, in 40 anni elette solo dieci donne
Le cifre impietose della rappresentanza femminile nell’aula dell’Autonomia: solo 21 mandati (al netto di surroghe e porte girevoli) su 280. E le quote rosa tardano
TRENTO. Avrà forse ragione, chi dice che le “quote rosa” non sono lo strumento più adatto per infoltire la rappresentanza femminile nelle istituzioni: premiare il genere indipendentemente da ogni altro criterio di merito può essere visto nel migliore dei casi come un semplice “contentino”. E nel peggiore, la conferma di una sostanziale ghettizzazione. Ma se siete tra coloro che alle quote rosa non credono, date un’occhiata alla serie storica delle elezioni del Consiglio provinciale e forse cambierete idea. Al netto delle surroghe per decessi, dimissioni e per le cosiddette “porte girevoli” (ed è il caso di Sara Ferrari del Pd e Vittoria Agostini dell’Upt), sapete quante sono state le donne risultate elette in quarant’anni? Dire che si contano sulle dita di due mani non è un eufemismo: sono state infatti appena dieci. Che diventano invece dodici se si decide di partire dal 1963, cioè addirittura mezzo secolo fa. Allora la Dc portò infatti in Consiglio Carla Grandi ed Enrica Perazzolli, ma cinque anni dopo la rappresentanza si dimezzò e in aula sedette solo Giuseppina Bassetti.
Partiamo però dal 1973, perché fu proprio in quell’anno che per la prima volta il Consiglio regionale venne composto da 70 eletti: Bassetti non restò sola, la raggiunse infatti la compagna di partito Claudia Piccoli (peraltro già subentrata nell’ottobre ’71 allo scomparso Vito Lucianer), che rimase poi l’unica donna in Consiglio per un intero decennio, dal 1978 all’88. A quel punto a darle manforte arrivarono da sinistra Wanda Chiodi per il Pci e la radicale Franca Berger, eletta per i Verdi. Cinque anni dopo, e siamo a vent’anni fa, il gentil sesso in aula tornò però a ridursi: Chiodi venne confermata, con il Pci mutato nel frattempo in Pds, mentre per la Dc (che divenne Partito popolare poco dopo il voto) risultò eletta Paola Vicini Conci. Nel 1998, quasi una rivoluzione: cinque elette in un colpo solo, risultato a tutt’oggi ineguagliato. Con Chiodi (Ds) e Conci (rieletta per il Centro-Upd) affiancate dalla verde Iva Berasi, da Margherita Cogo per i Ds e Marta Dalmaso per la Civica Margherita. Ovviamente nel 2003 arrivò rapida la “restaurazione”, da cinque a tre: appunto Berasi, Cogo e Dalmaso. Mentre cinque anni fa le elette furono quattro: ancora Cogo e Dalmaso (entrambe per il PD), poi l’autonomista Caterina Dominici (già subentrata nel giugno 2006 al dimissionario Giacomo Bezzi, eletto alla Camera) e la leghista Franca Penasa. Dieci donne in quarant’anni, dunque, per complessivi 21 mandati. Mentre il totale dei seggi disponibili, dal 1973 ad oggi, è stato di 280. E il calcolo percentuale è impietoso: la presenza femminile in quarant’anni è stata appena del 7,5%.
Qualche ragione insomma ce l’ha chi, come la stessa Margherita Cogo, si è battuta per introdurre modifiche alla legge elettorale per agevolare l’elezione di donne in Consiglio provinciale: a partire dalle due preferenze divise per genere (almeno una cioè a un candidato di sesso femminile). Una battaglia senza però effetti concreti immediati, dopo che nelle scorse settimane si era registrato un vivace battibecco (diciamo così) tra la consigliere del Pd e il presidente dell’assemblea Bruno Dorigatti, per la mancata corsia preferenziale prevista per il suo ddl, presentato peraltro ancora nel 2010. E con Dorigatti a chiedere poi a stretto giro di posta al presidente della Commissione competente Renzo Anderle di accelerare l’iter dell’esame del provvedimento, per passarlo all’aula entro giugno. Comunque in ritardo: per poter essere applicato alle prossime elezioni, il disegno di legge andrebbe approvato più di tre mesi prima del voto. Mentre così, nella migliore delle ipotesi, entrerà in vigore a inizio ottobre: quando le liste saranno già presentate.
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