la battaglia legale

Consiglio di Stato, sì al vino «Venezia»

Il marchio doc potrà essere usato per le bottiglie prodotte nella provincia di Treviso e in quella veneziana



TRENTO. Dopo il Tar, il Consiglio di Stato. Due gradi di giudizio e una sola indicazione: in Veneto si potrà produrre vino da vendere con il marchio «Venezia». A perdere è stata quindi la Provincia di Trento che si era opposta a questa nuova doc.

La vicenda inizia circa quattro anni fa con la concessione a livello statale di una nuova doc, la «Venezia», appunto, per un territorio ben preciso che da dal trevigiano (95 comuni) fino al veneziano (44 comuni), appunto. Un territorio con circa 80 aziende con i vini doc Lison Pramaggiore, doc Piave, doc Venezia, docg Lison, Malanotte del Piave docg.

La decisione non piace alla Provincia di Trento che si muove anche per tutelare Cavit, che produce vini con l’indicazione geografica igt «delle Venezie» (merlot, pinot e altri). E contestando che si potesse utilizzare il nome «Venezia» anche per territori che non appartengono alla provincia veneziana, e pure la regolarità della stessa procedura con cui Regione e Ministero dell’agricoltura avevano autorizzato il nuovo «Venezia doc», sostenendo che era stata violata la normativa nazionale ed europea, anche per una questione di rispetto di scadenza di date.

Per i giudici del Consiglio di Stato invece la procedura è stata corretta e sulla possibilità di usare «Venezia» come marchio argomentano come sia sì possibile perché «il dato oggettivo della “doc” si collega a fattori ambientali e tecnico colturali delle uve, in relazione alla peculiarità della zona di produzione nei suoi aspetti naturali ed umani; a ciò segue una denominazione che indica all’ambiente geografico di produzione». E per quanto riguarda lo scontro con la igt «delle Venezie», i giudici danno torto al Trentino perché è evidente la diversità «sul piano fonetico e lessicale» (le Venezie indica Veneto, Friuli e Trentino) dei due termini, e quindi c’è una «sufficiente differenziazione».

Il vino non è nuovo a dispute che finiscono poi il tribunale. Il caso può particolare probabilmente è quello che ha avuto come protagonista un’etichetta. E in particolare l’etichetta del Rotari che era (siamo nel 2000) era gialla come quella dello champagne Veuve Clicquot Ponsardin ed è gialla anche l'etichetta dello spumante trentino Rotari. E l'azienda d'oltralpe aveva citato in giudizio le Cantine Mezzacorona. E' una causa dagli interessi miliardari.

«Noi usiamo quel colore da duecento anni, la concorrenza imitandoci confonde le idee ai consumatori» tuonavano i francesi. E dopo due anni era arrivata la decisione del tribunale, sfavorevole al Rotari. L'etichetta del Rotari va cambiata. L'etichetta arancione dello Champagne Veuve Clicquot non si tocca, così aveva deciso il giudice civile. In tribunale era finito anche il Parampapoli in una causa che vedeva contrapposti il rifugio Crucolo e la distilleria Pisoni di Pergolese con i primi che sostenevano che i secondi non potevano usare il marchio parampampoli per i loro prodotti. Ma il tribunale ha deciso diversamente: si sta parlando di un liquore tipico che può essere prodotto da persone e aziende diverse.













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