«Fiuto e determinazione, così presi Marco Bergamo»
Va in pensione Arervo, il poliziotto che il 6 agosto 1992 mise le manette al serial killer dopo una caccia durata tutta la notte. «Nell’83 vidi il corpo di Marcella Casagrande. Certe cose ti segnano per sempre»
BOLZANO. Due numeri, un 4 e un 6. Li ha ancora stampati nella testa. Alessandro Arervo è il poliziotto che il 6 agosto 1992, ore 7 di mattina, arrestò Marco Bergamo, mentre cercava di svignarsela a Trento dopo aver ucciso una ragazza di vent’anni ai Piani. Dal primo novembre Arervo è in pensione dopo 41 anni nella Polizia di Stato: Volanti, Squadra Mobile, Narcotici, Anticrimine. Ma quello di Bergamo è un fantasma difficile da scrollarsi dalle spalle e dall’anima. In qualche modo, ha segnato tutta la sua vita professionale.
«Quel giorno - ricorda - avevamo montato a mezzanotte in punto, tre pattuglie per tre zone della città. Io ero sulla Volante 2. Appena iniziato il servizio, la sala operativa chiama il capo turno. Gli dice di recarsi subito sulla strada del Colle per una donna “probabilmente investita”».
Il capoturno Mirco Sanciati arriva sul posto per primo. Gli basta un’occhiata per capire; non è un incidente, è un omicidio. Un’altra donna uccisa a coltellate. La terza dall’inizio dell’anno. Pochi dubbi. È il serial killer, il maniaco che dal 1985 sta ammazzando le ragazze di strada a Bolzano. I sanitari della Croce bianca stanno cercando di rianimarla con l’Ambu, ma non c’è più niente da fare. È sui vent’anni, un casco di capelli neri e ricci. Accanto al corpo una felpa bianca insanguinata. Non ha i documenti. Probabilmente una prostituta, forse tossicodipendente. Nessuno dei poliziotti della Volante la riconosce.
Sanciati si attacca alla radio, descrive la vittima e come è vestita. «Prima intuizione - racconta Arervo - : dico al mio autista di andare svelto in via Garibaldi, dove esercitano alcune lucciole storiche che conoscono tutto e tutti». Trova la “rossa”. Arervo sta sul vago. Le chiede se, per caso, avesse visto la ragazza descritta da Sanciati. La “rossa” dice di sì. Che quella sera si erano presentate in due verso le 23 e 30. «Non sono di Bolzano - racconta - . Vengono a battere ogni tanto per pagarsi la roba. Due disperate. Talmente disperate che siamo state noi a rifornirle di preservativi. Abbiamo anche detto loro di spostarsi più in là, oltre la stazione. Perché qui ci rovinavano gli affari».
Lui annota e le dice: «Siamo la Volante 2, senti un po’ in giro. Se ci sono novità, chiamami tramite la centrale». Lei annuisce e segna il numero. Neanche il tempo di risalire sulla “pantera”, che via radio richiama Sanciatti. «Venite subito al Colle, c’è bisogno di voi». Un testimone aveva visto sfrecciare una A112 bianca in direzione monte. «Battete tutti i masi qui intorno e trovatela».
Ricorda Arervo: «Tutta la zona del Colle era stata chiusa. Un viavai di sirene e lampeggianti. Saliamo al secondo tornante. Con la coda dell’occhio vedo il corpo riverso, l’ambulanza, i colleghi che avevano isolato la scena». La Volante 2 prosegue alla ricerca della A112. «Ci infiliamo in una stradina. Davanti a una casa immersa nell’oscurità, eccola là. Scendo con calma e attenzione: se l’assassino è qui potrebbe reagire. Metto la mano sul cofano del motore. È caldo. Questa è la macchina».
Suonano alla porta mano sulla fondina. Apre una ragazza in vestaglia.
«Le chiedo in tedesco di chi è l’auto. Lei dice di aspettare e rientra». La tensione è al massimo. La mano sempre sul calcio della Beretta. «Torna con altre due ragazze. Identiche. Vestite uguali. Due gemelle». Dicono che l’A112 è loro. Che erano rientrate da poco da Bolzano. Che avevano notato il corpo a bordo della strada. Non si erano fermate, perché avevano paura. Era notte fonda, era buio, la donna era ricoperta di sangue. Ma appena arrivate a casa, avevano chiamato l’ambulanza.
Le gemelle raccontano anche altro. Dicono di aver incrociato, prima di vedere il corpo, una Seat Ibiza rossa che stava facendo inversione sul tornante. E di aver annotato mentalmente l’inizio della targa: Bz, poi un 4 e poi un 6. E che alla guida c’era un tizio sui 25, 30 anni al massimo, con i baffi.
In questura si forma al volo il pool anti-mostro guidato dal magistrato Guido Rispoli, affiancato dal capo della Mobile Alexander Zelger. Arervo comunica via radio le novità. Seat Ibiza. Rossa. Targata Bolzano. Prime cifre: un quattro e un sei.
Di Ibiza rosse ne giravano a centinaia in Alto Adige, era tra le auto più vendute. Ma i numeri di targa erano un traccia concreta, la prima dopo anni. Rispoli mette un paio di agenti sui videoterminali a incrociare i dati del Pra. Le pattuglie delle volanti, intanto, si incrociano per brevi e veloci scambi di informazioni. La radio gracchia. È la sala operativa. In questura si è presentata una giovane donna. Ha detto a Rispoli che la sorella Marika è sparita dopo essere salita su una Golf grigia in piazza Stazione poco prima di mezzanotte. Dalla descrizione non ci sono dubbi: la donna uccisa è Marika. C’è una seconda pista: Seat Ibiza rossa o Golf grigia metallizzata? Non c’è tempo da perdere. Tutte le pattuglie devono controllare ogni Seat Ibiza rossa o marrone, o di un qualsiasi colore che al buio possa essere scambiato per rosso, e ogni Golf grigia. «Parcheggi, garage, cortili, battete ogni angolo della città» ordina Rispoli.
Un messaggio dalla “rossa”
Arervo riceve un’altra comunicazione via radio. La “rossa” ha lasciato un messaggio per lui. Lo aspetta, da solo, a casa. «Salgo in questo appartamento nel condominio Garibaldi 20. Lei mi apre in vestaglia. L’ambiente era felliniano, immerso in una luce soffusa». La donna va subito al sodo. «Non voglio essere coinvolta, ti riferisco quello che mi ha detto una collega. Verso mezzanotte si era appartata con un cliente dietro il Garage MilleMiglia ai Piani. Ha sentito una donna urlare. Grida agghiaccianti. Ha cercato di convincere il cliente ad andare a vedere, ma quando quello si è deciso non hanno trovato niente».
Il capoturno Sanciati manda subito una macchina. La volante recupera sul terreno fazzoletti sporchi di sangue, frammenti di vetro e un deflettore in plastica “antiturbo”. «L’omicidio è avvenuto lì ai Piani - sintetizza Rispoli - ora vediamo se il deflettore è di una Ibiza o di una Golf».
Il mistero si risolve in una manciata di minuti. Un agente confronta il deflettore con quello di una Seat parcheggiata a pochi metri di distanza. Bingo. È di una Ibiza. Non ci sono dubbi. Il modello corrisponde. Parte la caccia all’Ibiza rossa. Trovarla, ok, ma dove?
Ormai è l’alba. L’assassino poteva averla rinchiusa in un garage, infilata chissà dove. «Giriamo la città come trottole. Noi e i carabinieri. Ma niente, zero, niet»
Alle sette del mattino, la Volante 2 finisce il turno. «Ma nessuno - continua Alessandro Arervo - aveva voglia di andare a dormire. In situazioni così non stai a guardare l’orologio. Lo senti che sei a tanto così dalla soluzione». La “pantera” svolta su via Lancia. La percorre tutta. All’incrocio con via Volta, il semaforo è rosso. La “pantera” si ferma. «Ero stravolto, gli occhi si chiudevano». Alla guida c’è Filippo Bertin.
«Mi dà uno strattone. “Cristo santo Alex - urla -. Da destra sta arrivando una Ibiza Rossa. Va verso Oltrisarco”. Cazzo, gli dico, seguila».
Svoltano su via Volta. Il deflettore lato guida è integro.
«Filippo - gli faccio - vai un po’ più destra. Devo vedere l’altra fiancata». Il deflettore non c’è.
Cristo, la targa inizia con Bz 46.
Cristo, è lui.
La Volante sorpassa la Seat.
Prima del sottopasso si mette di traverso e blocca l’auto.
Gli agenti scendono dalla macchina. Mano sulla fondina.
“Spenga il motore, documenti, libretto, e scenda lentamente”. L’uomo obbedisce docile.
«Mi appare questo ragazzotto con i baffetti. Pallido come un fantasma. Bianco». Una faccia comune. Anonima. Butterata da nei e lentiggini. Due baffi neri ridicoli. Il labbro inferiore sporgente. Una frangetta da adolescente. Pantaloni corti marroni. Una camicetta azzurra abbottonata fino al collo.
“Mani sul cruscotto”.
Arervo nota che: il ragazzotto ha le mani, i polsi e gli avambracci ricoperti di graffi freschi.
“Cosa sono questi segni?”.
“Sono caduto dalla bici”.
Balle. È stata Marika che ha lottato fino all’ultimo.
Il parabrezza anteriore è crepato dall’interno.
“Cos’è successo al vetro?”.
“Non so. L’ho trovato così».
«Così, dall’interno?».
Il ragazzotto sta zitto.
È stata Marika che ha scalciato cercando di difendersi.
Arervo da un’occhiata all’interno della Seat: manca il rivestimento al sedile accanto al guidatore. C’è solo l’intelaiatura di ferro con le molle. Arervo gli mette le manette ai polsi mani dietro lo schiena. Lo fa salire sulla “pantera” sorvegliato a vista.
«Mi infilo i guanti in lattice, apro il portellone posteriore della Seat. Dentro, troviamo: la fodera insanguinata del sedile, il portafogli, i documenti di Marika, un coltello».
Avvisano la sala operativa.
«È lui, lo abbiamo preso».
“Lui” è Marco Bergamo, operaio di 26 anni, domiciliato in via Visitazione. Oggi, 6 agosto 1992, è il suo compleanno. Viene portato in questura e interrogato da Rispoli e Zelger.
Sì, l’ho uccisa io.
Sì, l’ho uccisa a coltellate.
(Quaranta appurerà il medico legale Eduard Egarter)
Sì, ho scaricato il corpo sulla strada del Colle.
La casa
Per l’agente scelto Alessandro Arervo la giornata non è finita. Viene aggregato alla Mobile: devono perquisire l’appartamento dove Bergamo vive ancora con mamma e papà. «A me tocca la camera matrimoniale dei genitori. Un ordine maniacale. Tutto accatastato, stipato, catalogato in modo ossessivo. Trovo scatole di scarpe con ritagli di articoli su delitti efferati, e, in particolare, sul delitto di Marcella Casagrande e sugli omicidi delle prostitute. Trovo una valigetta con coltelli di tutti i tipi messi sotto chiave dal padre. La cosa mi impressiona, ma ancora mancava il collegamento. Lo ritenevamo l’assassino delle prostitute, non di Marcella».
Un altro agente ispeziona la stanza di Marco, il tinello col divano letto dove lui dorme quando i genitori spengono la tv ogni giorno alle 22.30. Trova pile di riviste porno. Trova quaderni con ritagli di riviste porno assemblati da Bergamo secondo un suo personalissimo gusto. Un collage osceno di ogni tipo di perversione. Trova una piantina di Bolzano. Arervo guarda la cartina. Bergamo ha evidenziato il percorso che dalle scuole di via Longon va allo Studio fotografico “Marco” per proseguire fino a via Visitazione. La scuola che frequentava Marcella. Il fotografo vicino alla casa di Marcella. La casa di Marcella.
Marcella Casagrande.
Capsula del tempo
3 gennaio 1983. Alessandro Arervo, agente ausiliario, è in servizio sulle volanti per farsi le ossa. Il capoturno manda le pattuglie in via Visitazione. Una mamma, rientrando a casa, ha trovato la figlia di 15 anni morta sul pavimento. Adesso è sotto shock dai vicini. «Arriviamo, saliamo. C’erano già i colleghi sul posto: la scena era congelata. Vedo la ragazza riversa in corridoio. Il mio primo cadavere. Il mio primo omicidio. Avevo 21 anni. Una scena che non scorderò mai più».
Quel corpo è di Marcella Casagrande.
6 agosto 1992. «Vedo la mappa evidenziata di Bergamo. Vedo via Visitazione. Capisco subito: è stato lui». Bergamo confesserà a Rispoli anche questo delitto. L’8 marzo 1994 viene condannato all’ergastolo per cinque omicidi. Ha ucciso: Marcella, Annamaria, Renate R., Renate T., Marika.
Ultimo atto
Per l’agente scelto Alex Arervo ormai ispettore all’Anticrimine, i conti con il serial killer, il “mostro di Bolzano” non sono ancora chiusi. 14 ottobre 2017, pomeriggio: all’Anticrimine squilla il telefono. «Ero solo. Alzo la cornetta». È la casa circondariale di Bollate: “Non riusciamo a contattare i parenti del detenuto Marco Bergamo. È gravissimo, in fin di vita. Volevamo avvisare la famiglia».
I genitori sono morti da tempo. Arervo fa al volo una ricerca nella banca dati Sdi. Trova il vecchio numero di cellulare del fratello, che da anni se ne è andato da Bolzano. «Provo. Risponde. Lo avviso. Lui ringrazia e mette giù».
Marco Bergamo muore tre giorni dopo, il 17 ottobre.
1983- 1992-2017.
Il cerchio è chiuso.