«Con i sovranismi l’autonomia traballa»
Nel giorno dell’Unità nazionale il bilancio di Postal sul Centenario della Grande Guerra: «Creata una dimensione storica inclusiva»
TRENTO. Domani ricorre la giornata dell’unità nazionale e delle forze armate e, in pratica, si conclude anche il quinquennio di iniziative (2014-2018), ad un secolo di distanza, a ricordo della Prima guerra mondiale. Il cosiddetto Centenario. Particolarmente promosso in Trentino che in guerra ci entrò nel 1914, quando faceva parte dell’Impero asburgico e che fu linea del fronte dall’anno successivo con il coinvolgimento del Regno d’Italia nel conflitto. Trentino e Alto Adige/Sudtirol con la fine delle ostilità diventeranno terre italiane. Il 3 novembre 1918, giusto cento anni fa, Piero Calamandrei, uno dei padri nobili della Costituzione italiana, fu il primo ufficiale regnicolo ad entrare a Trento a bordo di un sidecar. Nella ricorrenza dell’entrata delle truppe italiane in città, oggi, dalle 15, è prevista una cerimonia nella Fossa dei martiri al castello del Buonconsiglio. Domani dalle ore 10,30 in piazza S.Maria Maggiore, è in programma la giornata dell’unità nazionale.
«Con il 4 novembre si conclude una fase in cui le istituzioni trentine, e in particolare la Fondazione museo storico che presiedo – afferma Giorgio Postal – hanno concorso ad una riflessione sulle vicende che hanno colpito questa terra nel corso della Prima guerra mondiale».
Con che scopo?
Quello di superare la separatezza delle memorie (tra chi guarda ancora al Tirolo storico e chi vede nel Trentino una provincia italiana). E, nello stesso tempo, approdare ad una dimensione storica inclusiva.
Obiettivo centrato o no?
Direi di sì. Noi l’abbiamo perseguito con i nostri ricercatori, le iniziative editoriali, le conferenze, le mostre.
I trentini hanno la consapevolezza della loro storia, articolata e complessa?
C’è ancora moltissimo da lavorare. Soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Un ragionamento specifico deve essere fatto coinvolgendo il mondo della scuola. Il museo cerca di farlo con la sua sezione didattica, ma non è sufficiente. Si deve dar vita ad un’azione strutturata e sistematica in direzione di una maggiore e completa conoscenza della nostra storia, in un contesto europeo. Siamo zona di confine, le questioni europee ci riguardavano allora, ma anche oggi.
La fine del conflitto segnò, seppur timidamente, subito affossato dal fascismo, l’inizio di un cammino autonomistico ripreso con vigore nel secondo dopoguerra. Oggi traballa…
È difficile capire. Nel momento in cui si consolidano i sovranismi in Europa il rischio è che si possa riproporre il discorso del confine al Brennero, la chiusura. Un confine che non esiste se l’Europa c’è…non viceversa. Se dovessero vincere i sovranisti alle prossime elezioni europee si potrebbe ripresentare la questione sudtirolese, mettere in discussione la convivenza tra gruppi etnici.
In Alto Adige per il 4 novembre sono annunciate manifestazioni di dissenso. Un sentimento minoritario o no, tra la popolazione?
No, non è un sentimento diffuso.
Con la nuova giunta provinciale di centrodestra cambierà qualcosa negli assetti della Fondazione? Lei rimarrà alla presidenza?
Ho ottant’anni, prima o poi sarà bene ritirarsi. Il mio mandato scade alla fine del prossimo anno. Il contributo che posso dare mi sembra possa essere “non dipendente”, mettiamola così, da una giunta o dall’altra…almeno me lo auguro.