Carlo Palermo: «Mafia, il Trentino non è immune»

Parla l'ex magistrato impegnato nella lotta alla mafia e ai traffici illeciti, prima a Trento e poi a Trapani


Chiara Bert


TRENTO. «Il Trentino non è un'isola felice, impermeabile alla criminalità organizzata. È vecchia l'immagine di una mafia che dal Sud viene al Nord, la mafia è ormai penetrata nel sistema economico, e per combatterla servono controlli a tappeto». A dirlo è Carlo Palermo, ex magistrato impegnato nella lotta alla mafia e ai traffici illeciti, prima a Trento e poi a Trapani. E a Pizzolungo, vicino Trapani, il 2 aprile del 1985, soltanto 40 giorni dopo il suo arrivo in Sicilia, Palermo sopravvisse miracolosamente a un attentato in cui morirono una mamma e i suoi due gemelli di 6 anni, che transitavano vicino all'autobomba nel momento dell'esplosione. Un evento che sconvolse la vita del magistrato, che nel 1992 fu poi eletto deputato per La Rete e nel 1993 consigliere provinciale a Trento. A lui abbiamo chiesto un'analisi della situazione trentina, alla luce dell'ultimo allarme su presenze mafiose lanciato dal presidente degli autotrasportatori di Confindustria Andrea Gottardi. Palermo, l'allarme degli autotrasportatori segue un'inchiesta sulle infiltrazioni della'ndrangheta. La mafia ha davvero messo radici anche in Trentino? Non sono a conoscenza diretta della situazione, che però il Trentino non sia un'isola felice estranea ad elementi di criminalità organizzata è noto non da oggi. Era così all'epoca della mia inchiesta negli anni'80, da cui emerse che il Trentino era inserito in un traffico internazionale di droga e armi, scelto proprio in quanto apparente isola tranquilla, più facilmente in ombra rispetto a centri più noti. Cosa rende il Trentino un territorio appetibile per la criminalità organizzata? Ci sono indubbiamente delle componenti di richiamo costanti. Innanzitutto i collegamenti con i traffici di stupefacenti, e connessioni legate ad appalti a cui partecipano società non trentine. Ma anche i soggiorni obbligati e dei collaboratori di giustizia, soggetti a rischio che rappresentano spesso anelli di congiunzione con i gruppi criminali di cui facevano parte. Un territorio ricco è per definizione ambito? Quando si parla di mafia, come primo approccio si pensa a qualcosa che dal Sud viene al Nord, ma si tratta di una visione superficiale. La mafia è un modello non più radicato solo in Sicilia, da decenni è entrata nel sistema economico, finanziario, bancario. E l'aspetto legato all'economia e alla finanza è più difficile da individuare perché è solo attraverso controlli e indagini che emergono le connessioni. I lucri non si fermano ai soggetti fisici, in gioco ci sono interessi superiori di società e operatori commerciali e finanziari. La crisi economica sembra aver aggravato la situazione, costringendo alcune aziende in difficoltà nella rete degli usurai. È noto che le banche stanno stringendo i cordoni del credito, e quindi le aziende ricorrono a operatori capaci di garantire loro liquidità immediata. Si tratta di soggetti che possono essere legati a realtà più facilmente illecite. Purtroppo si parla di fenomeni legati ad attività mafiose, e chi ricorre a finanziamenti illeciti spesso ha scarso interesse a denunciare perché sa di poter andare incontro a conseguenze negative. Anche per questo motivo, questo tipo di indagini non sono mai facili. Quali antidoti e forme di prevenzione può adottare il Trentino? Come si ci può difendere? Molti anni fa andai per lavoro ad Oslo e fui sorpreso dal numero di controlli stradali notturni. Questo per dire che un deterrente che vale per tutto il mondo dell'illecito sono i controlli, incisivi, a tappeto, da parte delle forze di polizia. Si può anche pensare di istituire una commissione d'indagine a livello provinciale per studiare i fenomeni mafiosi. Anche a livello amministrativo si può fare prevenzione, le denunce possono arrivare anche dalle rilevazioni.













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