Bindesi, «covo» della Sat con piatti da gourmet
Lo storico rifugio oggi è soprattutto un ristorante: ci venne anche il Dalai Lama Splendida la vista su Trento e luogo ideale per arrampicare o fare due passi
TRENTO. Ieri abbiamo raccontato della frescura al Bosco della città, oggi ci dedichiamo ad un luogo collocato quasi di fronte a quella meta, ovvero ai Bindesi di Villazzano, località extraurbana storicamente frequentata dai trentini per passeggiate e arrampicate, ma anche per un pranzo o una cena al rifugio Pino Prati della Sat, gestito da ben 24 anni da Anita Cagol e posto a 602 metri di altitudine, su uno sperone roccioso della Marzola. La storia del rifugio merita di essere ricordata, perché ha quel romanticismo che tante vicende dei tempi che furono (quelli degli esordi) dei rifugi alpini si portano dietro. E intorno a Cima Marzola e sulle rocce intorno c'è anche la storia di tanto alpinismo di grandi nomi come di persone comuni, e al suo cospetto si può soffermarsi nel caldo estivo, per ripensare emozioni e percorsi individuali e associativi, che hanno segnato la nostra storia di territorio e di comunità. Nel 1954 la Sezione Sat di Trento consentiva, dopo qualche resistenza, alla nascita del Gruppo Grotta – Bindesi che poteva contare già 35 aderenti, con Secondo Furlanelli come primo presidente del Gruppo. Senza una vera sede, le prime riunioni del gruppo si tenevano all’interno del laboratorio di calzolaio di Furlanelli e già questo fa tanto romanticismo. «Fra i meriti acquisiti dalla prima terna di presidenti (Secondo Furlanelli, Giuseppe Forti e Ettore Trentini) – ricorda il sito della Sezione Bindesi della Sat - spicca quello di essersi fatti carico, con una buona dose di coraggio, della realizzazione del rifugio Pino Prati ai Bindesi, dove da sempre gli alpinisti trentini (tra gli altri Bruno Detassis e Marino Stenico), si esercitavano sulla esistente palestra di roccia».
L’idea di costruire il rifugio, come ricorda Callin Tambosi nel libro "Dolomiti per amore" dedicato all'alpinista Gino Pisoni, è stata proprio di quest’ultimo, durante una festa nel 1949. Si dovrà attendere il 1962 per posare la prima pietra. Il Rifugio negli anni ’60 -’70 divenne poi meta e ritrovo per tanti alpinisti ed amanti della Marzola. Al ristorante (ormai di rifugio resta poco, del resto c'è una sola camera, raramente occupata da ospiti, ci spiegano) lavorano, oltre alla signora Anita, la figlia e poi un cuoco e un altro aiutante per la cucina e i tavoli. I posti a sedere sulla terrazza, per l'estate, con splendida vista sulla valle dell'Adige, sono venti. «Negli anni – ci ha spiegato la signora Anita, indaffarata tra un cliente e l'altro - tanti nostri avventori sono diventati anche amici».
La cucina è quella tipica trentina, ma di qualità (abbiamo provato noi stessi). Si servono molti piatti di carne, ma anche tanti primi o risotti per i vegetariani e poi verdure alla griglia o fresche, cercando di seguire le stagioni.
Qualche curiosità? «Molti anni fa arrivò per cena perfino il Dalai Lama, e quella volta – ricorda Anita Cagol – abbiamo consumato tutto il peperoncino che avevamo in cucina, perché i tibetani mangiano molto speziato». Niente male come ricordo.
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