L'intervista

Barbacovi: «Voglio riappacificare il Pd»

Il neosegretario: «Chi vince le primarie dev’essere segretario». La data del congresso? «Conta di più arrivarci bene»


di Chiara Bert


TRENTO. «Mi sono messo in gioco con uno scopo preciso: riallacciare i rapporti tra noi, ricreare un ambiente sereno. E riscrivere le regole: chi vince le primarie dev’essere il segretario con una maggioranza». Dall’Isola d’Elba Sergio Barbacovi, segretario del Pd su decisione dei garanti che hanno accolto il ricorso di Olivieri e Casagrande, dispensa parole di buon senso. Ma se gli si chiede dei tempi del congresso, elemento che agita una parte del partito, chiarisce: «L’importante è arrivarci sereni, non abbiamo scadenze elettorali impellenti».

Barbacovi, alla fine, seppure con un’interpretazione controversa, è il segretario del Pd. Con che spirito si presenterà martedì in assemblea?

Se mi sono messo in gioco, l’ho fatto con uno spirito di servizio: vedere se è possibile riallacciare i rapporti tra di noi, creare un riavvicinamento tra le nostre tesi e le nostre parti. Ricreare un ambiente in cui si possa lavorare serenamente pur in una dialettica politica che è il sale della democrazia.

Sul tavolo c’è il tema delle regole per l’elezione del segretario.

Certo, dobbiamo riscrivere le regole dello Statuto che ne ha un estremo bisogno: chi vince alle primarie dovrà essere certo di essere il vincitore. Che la sera stessa ci sia il nome del segretario è un’esigenza fondamentale. Poi si prepareranno le tesi per un nuovo congresso. E daremo una mano ai circoli da rinnovare.

Anche Italo Gilmozzi venne chiamato nel 2013 per riappacificare un partito dilaniato in correnti. Cosa non funziona secondo lei nel Pd?

Se fosse stato chiaro che chi vinceva le primarie aveva le redini del partito, credo che non sarebbe successo quello a cui abbiamo assistito in questi mesi. Anche i nostri elettori si sono trovati un po’ spaesati. Serve un segretario con una maggioranza, e poi certamente una minoranza, che deve esserci in qualsiasi organismo democratico. La prima cosa che farò sarà formare una commissione statuto per riscrivere le regole.

Ci sono diverse ipotesi. A livello nazionale si discute di dare più potere agli iscritti. Qual è la sua opinione?

Sarà un nodo della discussione. Cercherò la massima condivisione e credo che saremo in grado di trovare un accordo. Vorrei coinvolgere il gruppo consiliare e i parlamentari che hanno grande esperienza.

Si è detto più volte che il Pd è preda di una guerra per bande, lo pensa anche lei?

Io credo che è l’uomo che fa la politica, non il contrario. Penso che ci sia stato qualche personalismo eccessivo. Io sono abbastanza fiducioso ma non sono cieco. So che è un impegno difficile quello che ho preso ma mi è stato chiesto in maniera convinta e ho accettato. Un grande partito come il nostro si merita di avere una marcia in più. Ma non basta un segretario, serve un atto di generosità da parte di tutti i 64 nei confronti del Pd. Di fronte a chi ci ha eletto abbiamo il dovere di occuparci dei problemi veri, il lavoro, la sanità: di questo dovremmo discutere invece di spendere energie in sterili battaglie interne. Non sono presuntuoso, ma l’apprezzamento che ho ricevuto mi rinfranca.

Una parte di assemblea non l’ha votata perché non si è sentita garantita sui tempi del congresso. Cosa risponde?

È semplicissimo: fatte bene le regole, arriveremo al congresso. Non si tira a campare. La mia aspirazione è arrivarci con un po’ di serenità e riappacificati. Non ci sono impellenti appuntamenti elettorali: meglio spendere un mese in più e fare le cose bene.

L’assemblea aveva deliberato il congresso entro l’anno.

Vedremo. Se facciamo bene, tutto può essere. Ma ripeto, conta più come ci arriviamo. Dobbiamo pensare che qualcuno poi deve venirci a votare.

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