Bambina nata morta, condannato l’ospedale

L’Azienda sanitaria dovrà risarcire i genitori e i fratellini della piccola con 250 mila euro. I medici non hanno diagnosticato il diabete della mamma


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. Doveva essere la quarta figlia. Una bambina sanissima. La gravidanza sembrava essere andata bene e i medici non avevano rilevato problemi. Per questo quando la bambina è nata morta all’ospedale Santa Chiara di Trento, ai genitori e ai loro tre figli è caduto il mondo addosso. Era il 7 luglio del 2001. I genitori non si sono arresi. Hanno voluto capire cosa fosse accaduto e si sono rivolti agli avvocati Gabriele Taddei e Alessio Bonetti che hanno citato in giudizio l’Azienda sanitaria. Dopo undici anni hanno ottenuto giustizia. Il giudice del Tribunale di Trento Virginia Manfroni ha condannato l’Azienda sanitaria a risarcire la famiglia con 250 mila euro, riconoscendo che la bambina è morta a causa di un diabete gestazionale non diagnosticato dai medici. Secondo quanto sostenuto dal consulente del giudice, la piccola si sarebbe potuta salvare con un semplice parto cesareo. Nella sentenza, il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 80 mila euro ciascuno ai genitori e di 15 mila euro ai tre fratellini della bimba. Poi l’Azienda è stata condannata a che al pagamento delle spese.

La triste storia inizia nel febbraio 2001. La mamma della bimba era affetta da ipertensione e seguiva un’apposita terapia. In questi casi, ha spiegato il consulente del giudice, la pressione arteriosa della gestante va controllata almeno una volta a settimana e, nel secondo trimestre, va eseguito un test di tolleranza glucidica, visto che non è infrequente, in questi casi, l’insorgenza del diabete. In questo caso, però, il test non è stato prescritto e il monitoraggio è stato interrotto alla trentatreesima settimana. Il consulente ha anche rilevato che i tracciati fossero di cattiva qualità e che questo comportava la necessità di controllare la vitalità del feto per via ecografica.

Questi controlli, però, non sarebbero stati eseguiti dai medici. Il consulente ha spiegato che la piccola è morta per il combinarsi dell’ipertensione della mamma con il diabete non diagnosticato. Secondo la consulenza tecnica, il diabete poteva essere visto già alla ventisettesima settimana, quando la donna si era sottoposta all’esame della minicurva glicemica. Secondo il consulente del giudice, l’esito di questo esame avrebbe permesso di vedere l’insorgenza del diabete gestazionale. In questo modo, se fosse stata rispettata la prassi di questi casi, si sarebbe potuto studiare la dieta della donna. Non solo.

La strategia. Il consulente ha spiegato che, in caso di diabete, si deve considerare un parto cesareo non appena il polmone fetale è maturo, ovvero intorno alle trentottesima settimana. Insomma, l’associazione tra l’ipertensione e il diabete non visto dai medici del Santa Chiara avrebbe dovuto consigliare una diversa strategia, prevedendo un parto programmato che avrebbe con tutta probabilità salvato la bambina. L’Azienda sanitaria si difende sostenendo che i medici del Santa Chiara non avrebbero mai visto l’esito dell’esame della curva glicemica e non lo avrebbero mai prescritto. Il giudice, però, ritiene che proprio in questo comportamento sta la grave omissione dei medici dell’Azienda sanitaria. Una mancanza fatale per la piccola che, altrimenti, sarebbe potuta nascere viva. Per questo il giudice ha deciso di condannare al risarcimento l’Azienda sanitaria.

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