«Al Muse lavoro impossibile». E in 76 lasciano il posto
I lavoratori del Museo (in stato di agitazione) denunciano condizioni di precarietà e incertezza Giovanna: «Era il mio sogno, ma dopo 13 anni mi sono arresa». Il sindacato: «Si applichi il contratto di Federcultura»
TRENTO. Dietro la facciata tutta vetro e modernità del Muse disegnata da Renzo Piano si cela una realtà che poco ha a che fare con il moderno. Ma ricorda piuttosto lo sfruttamento del lavoro.
Come racconta Giovanna Spagnolo: «Ho due figli e al Muse avevo un contratto part-time a 18 ore. Guadagnavo 700 euro al mese. Ho avuto una ventina di contratti precari.
Per 13 anni ho testardamente e fortemente sperato e combattuto perché potesse essere il mio lavoro della vita. Lo amo immensamente. Ma con più potere di me è stato ripetutamente e palesemente deciso che fosse un lavoro "da studenti", una cosa da "giovani neolaureati" che si mettono una riga sul curriculum tra una ripetizione in nero e uno spritz in centro. Non è vero. La divulgazione scientifica se fatta bene non è una robetta temporanea da fare in attesa di un lavoro vero.
È un lavoro difficile, importante, bellissimo. Ho colleghi di immensa esperienza e altissima formazione, di 20, 30, 40 e cinquant'anni suonati. Ho avuto indifferenza e disprezzo nemmeno troppo velato da parte di chi decideva del nostro lavoro senza mai ascoltare la nostra voce. Ma la vita cambia. Non posso più vivere in queste condizioni di incertezza, ricatto continuo, senza tempo libero e senza possibilità di organizzare la vita al di fuori di un part time di 18 ore che impegna con la sua imprevedibilità ogni singolo giorno festivo e lavorativo. Ho dovuto lasciare il mio amatissimo lavoro, e i miei meravigliosi colleghi».
Giovanna a luglio ha lasciato. Lavorava al Muse con impegno e dedizione fin da quando era studentessa. Poi ha preso una laurea e ha pensato che quello potesse essere il suo lavoro per la vita. Ma poi è arrivata l’esternalizzazione dei servizi, prima realizzati da personale con contratti cococo, a tre cooperative. E da allora sono iniziati i guai.
Prima un’inchiesta della Procura della Repubblica per verificare il contenuto dei contratti. Poi le condizioni di lavoro che hanno spinto molti dipendenti ad andarsene come spiega il delegato della Cgil Giovanni Virruso: «In sei anni solo nella nostra posizione, che è quella di pilot and coach ossia guide, sono andati via dal Muse in 76. Solo nell’ultimo anno sono stati circa 25. Tutte persone che non ce la facevano più a lavorare in queste condizioni. E molti altri sono andati via dal book shoop e dalla biglietteria.
Con il contratto sulle 30 ore prendiamo meno di 1.100 euro al mese e non ci sono sabati né domeniche libere. Ci hanno applicato il contratto delle cooperative sociali che non c’entra nulla col nostro lavoro. Al museo di Ledro di recente hanno stabilizzato 10 dipendenti che erano nella nostra situazione. Noi, che lavoriamo in un museo che fa mezzo milione di visitatori all’anno, restiamo in mezzo al guado».