Assemblea al Mart

Ristoranti, il 2020 anno più buio. E per ripartire mancano lavoratori

Quasi il 60% ha perso oltre metà del fatturato. Ora si vede la luce in fondo al tunnel: ma servono cuochi e barman



TRENTO. Ristoratori trentini fiduciosi nel futuro, benché il 2020 sia stato l’anno più buio per tutta la categoria: in molti casi, il fatturato si è più che dimezzato. 

Al Mart di Rovereto si è svolta l'Assemblea annuale dell'Associazione. L’incontro è stato l'occasione per fare il punto sull'emergenza Covid-19, ricordando che il 2020 ha rappresentato per la ristorazione in Italia quasi un bollettino di guerra; una guerra combattuta metro su metro al confine dell'incertezza, tra l'impatto della pandemia e gli effetti delle misure restrittive calate con particolare intensità sul mondo dei pubblici esercizi e della ristorazione.

Il saldo delle imprese registrato nei servizi di ristorazione a livello nazionale segna nei servizi di ristorazione un risultato negativo di 13 mila unità, con una perdita occupazionale di almeno 350 mila unità lavoro.

«Bisogna sottolineare - spiega il presidente dell’Associazione Marco Fontanari - che il 97,5% delle imprese ha dichiarato un calo di fatturato rispetto al 2019 in grandissima parte (quasi il 60%) consistente in oltre la metà del fatturato stesso. Un anno disastroso, insomma, nei numeri e nella percezione, tra ristori rilevati come poco efficaci per la grandissima parte delle attività del settore, misure altalenanti e contraddittorie e i consumatori, in particolare dalla seconda parte dell'anno in poi, sempre più terrorizzati dall'idea distorta del contagio nei luoghi pubblici. Un dato positivo, mi preme sottolineare, lo abbiamo nella percezione dell’importanza che le associazioni di categoria hanno ricoperto in questo anno durissimo, lo denota il fatto che gli associati sono aumentati rispetto al 2019».

«Così, mentre l’Associazione combatteva una battaglia anche culturale per stabilire il principio della sicurezza e dell’essenzialità dei Pubblici Esercizi all’interno della socialità e dell’economia, gli imprenditori e le imprese del settore hanno letteralmente rincorso i provvedimenti, spesso reinventandosi: dall’utilizzo massiccio degli spazi esterni ad una riorganizzazione di personale e servizio, dall’implementazione del delivery a nuove proposte di menù collegate all’asporto».

«Dal 2020 emerge un quadro complesso di un settore che ha sofferto moltissimo, ma che - forse irresistibile segnale di un mondo “aperto” ed ottimista per carattere e vocazione - scorge la luce in fondo al tunnel: colpisce infatti quell’85% dei ristoratori che ha sostanzialmente fiducia di tornare nel 2021 a svolgere la propria professione ai livelli pre-pandemia. Si pensa quindi di tornare al passato, ma senza l’illusione di essere quelli di prima: perché lo smartworking e le nuove abitudini di vita e consumo hanno stravolto equilibri territoriali, ritmi sociali e consuetudini di consumo (basti pensare alla nuova normalità del delivery). Un’oggettiva ricognizione e comprensione di queste dinamiche non ne risolve certo la complessità, ma rimane tuttavia punto di partenza imprescindibile per chi voglia rendersi conto di cosa sta succedendo davvero al mondo della ristorazione, che nel 2020 ha vissuto l’anno più buio ma che, fortunatamente per il nostro Paese, non sembra intenzionato ad arrendersi».

L’assemblea è stata l’occasione per segnare un punto di ripartenza. Con la zona bianca i ristoranti iniziano a pensare a una quasi normalità “anche se la strada è ancora molto lunga e difficoltosa, servono ulteriori misure di sostegno alle nostre imprese, anche dal punto di vista del credito e per la forza lavoro”, ha detto Fontanari.

Emerge purtroppo ancora un’incognita che rischia di compromettere questa ripresa: mancano all’appello molti lavoratori - si stima 150 mila a livello nazionale. Si sta parlando di professionisti a tempo indeterminato che nel corso dello scorso anno, a causa dei troppi impedimenti imposti alle nostre attività, hanno preferito cambiare lavoro e interrompere i loro contratti. Si tratta di cuochi e bartender di lunga esperienza, attorno ai quali, spesso, sono state costruite intere imprese. A questi si aggiungono i lavoratori che lo scorso anno lavoravano a tempo determinato e che oggi, anche alla luce dell’incertezza sul futuro, potrebbero preferire strumenti di sostegno al reddito, invece di un vero impiego.

" Per invertire questo trend e rendere nuovamente la ristorazione attrattiva soprattutto per le figure più professionalizzate, è importante che la politica dia un segnale di fiducia, ribadendo che il processo di riapertura sia irreversibile. Serve uno sforzo comune da parte delle rappresentanze sindacali sia datoriali che dei lavoratori, nonché della politica, affinché il mercato del lavoro nel turismo diventi attrattivo per i lavoratori”, ha concluso Fontanari.

Durante l’Assemblea si sono collegati da Roma anche il presidente Fipe Lino Stoppani e il Direttore Roberto Calugi che hanno espresso soddisfazione per l’ottimo lavoro svolto dall’Associazione a livello territoriale e ribadito l’importanza del ruolo delle Associazioni di categoria durante questo difficile periodo. Sono sorti gruppi spontanei che hanno cercato di avere visibilità attraverso manifestazioni violente e con comportamenti scorretti. Un plauso all’Associazione che il 28 ottobre scorso con la manifestazione “Siamo a terra” in Piazza Duomo e l’11 gennaio con  I grembiuli bianchi” ha manifestato in maniera civile, portando in piazza i ristoratori per sottoporre all’attenzione pubblica il grido di aiuto e di allarme dell’intera categoria. 

In conclusione, a forte richiesta è stato rilanciato il messaggio di togliere la “deregulation” e di riportare ad un contingentamento il settore della ristorazione, facendolo riconoscere “come un’eccellenza ed un patrimonio nazionale cercando di regolamentare le soglie di ingresso nel nostro settore”.













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