Filzerhof, una pagina di storia mochena 

A Palù, nelle sale dell’Istituto, la mostra avviata dallo studio lungo due anni dell’antropologa perginese Tatiana Andreatta


di Roberto Gerola


PALÙ DEL FERSINA. Con due anni di lavoro l’antropologa perginese Tatiana Andreatta ha scritto un’interessante pagina di storia mochena. Per la verità, se l’incarico è stato dato a lei, altre due persone hanno collaborato attivamente e si parla di Claudia Marchesoni e Leo Toller, entrambi dell’Istituto culturale mocheno al quale si deve l’iniziativa. Al centro il maso – museo Filzer per il quale ricorre quest’anni il 20° della sua ristrutturazione. Si è studiato il Filzerhof (a Fierozzo) in quanto completo degli elementi essenziali anche da punto di vista storico oltre di vita quotidiana e pertanto testimonianza ideale del patrimonio culturale mocheno. La ricerca è sfociata in una mostra molto interessante. La “storia” del Filzerhof (e dei masi) era conosciuta ma era frammentaria (ne scrissero Antonio Zieger, Giuseppe Gerola e monsignor Iginio Rogegr); solo ora la sua conoscenza è organica. E per certi aspetti riguarda anche Pergine.

Da specificare subito il significato di maso: in valle dei Mocheni, il maso si identifica in un appezzamento di terreno (sui 20 ettari circa) che comprende prati, campi, boschi e (se c’è) l’edificio con abitazione e stalla. Un appezzamento che non sempre aveva confini ben definiti, ma che erano spesso identificati in elementi naturali (vallette, dossi, rivi, sentieri). A differenza dell’Alto Adige, la proprietà passava a un figlio maschio non sempre primogenito anche se tendenzialmente avveniva così.

La storia del Filzerhof è stata ricostruita a ritroso (allargandosi al sistema di investitura) e si è giunti al 1324 (anno della sua costruzione), tenendo presente che si parlava di Montagna di Fierozzo: disabitata a differenza di Frassilongo e Roveda (in mano alla Comunità di Povo). La Montagna di Fierozzo era del Capitolo del Duomo di Trento (se ne parla in un documento del 1242) che la diede in affitto alla Comunità di Povo. Poi, attraverso l’istituto dell’enfiteusi passò al Castello di Pergine (siamo nel 1315) che in qualche modo se la tenne fino alla fine del 1700. Erano stati appunto i Signori di Castel Pergine a suddividere i territori di Fierozzo (Montagna disabitata) e Frassilongo con Roveda (già abitata) in “masi” da “roncare” (dissodare, disboscare, coltivare e appunto costruirvi un edificio) e al gestore di dava il “contributo” di 2 o 3 vacche. Le prime investiture (affido per 19 anni dei “masi” in cambio di un affitto) avvennero per una sorta di colonizzazione della valle (versante sinistro) da parte dei Signori di Senna (Scena di Merano) . Da dire che Palù dipendeva invece dal Castello di Caldonazzo anche se le investiture erano analoghe.

Tale sistema durò fino alla fine del 1700 (Napoleone cambiò un po’ di cose). Per il successivo periodo fino al 1848 si andò avanti sempre con le investiture ma meno rigide con i “gestori” dei masi a comperare altri “masi” (o parti) o vendere parti del terreno e a gestire potevano essere più famiglie: importante (per il Castello) era tirare l’affitto. Tutto finì con il 1848 con le nuove leggi di Francesco 1° (Imperatore d’Austria).













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