Il Trentino paga meno le donne
Il divario di stipendio con gli uomini è più ampio rispetto al resto d’Italia. I dati Ispat: a un uomo 109,4 euro in media contro i 92,8 della donna. Annelise Filz: «Problema culturale, viviamo in una società patriarcale»
TRENTO. Siamo nel 2023 e ci sono ancora differenze fra gli stipendi di uomini e donne. In questo inizio anno, secondo le statistiche, nelle tasche delle lavoratrici non è ancora entrato un centesimo, e sarà così fino al 10 febbraio.
Ma perché? Perché a parità di mansioni, profili contrattuali e anzianità, le donne guadagnano l’equivalente di 40 giorni in meno rispetto agli uomini. Potremmo dire, quindi, che per i primi 40 giorni dell’anno, le donne lavorano gratis. Sembra scandaloso, ma è la realtà.
Nel nostro Paese il gender pay gap, ovvero il differenziale salariale donna-uomo utilizzato dalla Commissione europea per mettere a confronto i salari percepiti da uomini e donne nei paesi dell’Unione europea, si attesta all’11,2%. Se consideriamo invece la nostra provincia, secondo i dati Ispat la percentuale raggiunge il 13%. Il Trentino quindi, di solito terra virtuosa, in questo caso rimane indietro.
«Il problema è sicuramente di tipo culturale – spiega il consigliere provinciale del Pd Alessandro Olivi, già assessore al lavoro – viviamo in una società basata su schemi patriarcali in cui il pensiero comune è quello che una donna prima o poi avrà dei figli e quindi potrà voler lavorare meno rispetto ad un uomo. Investire quindi in una donna, agli occhi dei datori di lavoro sembra meno vantaggioso rispetto all’assunzione di un uomo».
Chiariamo una cosa, i dati pubblicati dall’Ispat si riferiscono a sondaggi effettuati presso imprese private e non mettono sullo stesso piano per esempio il lavoro di impiegato con quello di manager. Il gap, infatti, indica la differenza che in media hanno un uomo e una donna che fanno lo stesso lavoro, a parità di mansioni, profili contrattuali e anzianità. Secondo i dati Ispat, quindi, quando un lavoratore a tempo pieno guadagna in media 109,4 euro al giorno, la controparte femminile arriva a 92,8 euro. La differenza è quindi di 16,6 euro in più per l’uomo (in un mese sono più di 300 euro).
Considerando invece il tempo parziale la forbice diminuisce, con 58,8 euro al giorno per gli uomini contro il 53,9 per le donne. In questo caso in un giorno la differenza è di 4,9 euro, che al mese si traduce in 98 euro in più per gli uomini.
«Piuttosto che distribuire bonus alle donne – continua Olivi – sarebbe necessario quindi agire a livello legislativo, oltre che sul piano contrattuale, sia sulla contrattazione collettiva nazionale, sia aziendale». È proprio su questo punto che il consigliere provinciale ha recentemente presentato un emendamento alla legge di riforma sugli incentivi alle imprese, con l’obiettivo di prevedere una soglia di trattamento minimo del lavoro femminile nelle imprese e favorire incentivi per le aziende che si impegnano a ridurre progressivamente il divario salariale.
L’avvocata ed ex consigliera provinciale di parità Annelise Filz spiega che «la situazione è cambiata rispetto al passato, ma la figura femminile in casa è ancora preponderante. L’indipendenza delle donne è innegabile però, rispetto a decenni fa, solo che a costo di essere indipendenti, spesso le donne accettano salari più bassi rispetto agli uomini. Devo ammettere, inoltre che ho letto recentemente una statistica inerente al mio ambito, quello dell’avvocatura, ed effettivamente anche in questo caso le donne guadagnano meno rispetto agli uomini».
L’avvocata è sicura che in futuro però cambierà qualcosa, ma ci dovrà essere più partecipazione delle donne in politica, per aumentare la sensibilità su temi di questa natura.
«Sicuramente poi il cambiamento deve avvenire anche dalla volontà dei singoli datori di lavoro. - continua Filz - Per quanto riguarda la mia situazione, il mio studio è composto per la maggior parte da donne, c’è un solo uomo e io mi sono trovata sempre bene con i dipendenti che lavorano bene, a prescindere dal genere. Credo che sia necessario incentivare la parificazione, non ostacolarla. Nel mio caso, io non ho mai avuto problemi, se il rapporto fra datore di lavoro e lavoratori è chiaro ed onesto, credo che un accordo si trovi sempre e questa, secondo me, dovrebbe essere la normalità».