Il caso

Buoni pasto, i ristoratori pronti al blitz: «Molti di noi stanno decidendo di non accettarli più»

Nel mirino le commissioni, arrivate fino al 20% del valore del buono stesso. Fipe e Fiepet: «Così non c’è guadagno, anzi lavoriamo in perdita»



TRENTO. È stata un’adesione di massa quella di martedì 15 giugno. Pubblici esercizi, bar e ristoranti, hanno partecipato allo “sciopero” dei buoni pasto per 24 ore, promosso dalle Federazioni nazionali Fipe e Fiepet. La situazione è al limite, dicono le categorie: «Molti esercizi stanno decidendo di non accettarli più o quantomeno finché la situazione non cambierà». I ristoratori: «Così non solo non c’è guadagno, ma lavoriamo in perdita».

Il 15 giugno i pubblici esercizi non hanno accettato alcun pagamento tramite buoni pasto. Un blocco necessario per far arrivare alle Istituzioni l’appello, troppe volte ignorato, per una strutturale riforma di un sistema che, per via di commissioni al 20%, non è più economicamente sostenibile.

A questa iniziativa hanno aderito anche le imprese della distribuzione commerciale, dai piccoli esercizi di vicinato fino a supermercati e ipermercati della distribuzione organizzata. I buoni pasto emessi dalla Provincia Autonoma di Trento, che non gravano con commissioni sugli esercenti, sono invece stati accettati.

Commenta Massimiliano Peterlana, presidente di Fiepet – Confesercenti del Trentino: «Volevamo ringraziare i tanti che hanno aderito in gran numero a questa manifestazione. C’è stata l’adesione della quasi totalità della categoria e questo a ribadire quanto è importante l’argomento. La gestione dei buoni pasto ha un sistema dalle spese ormai insostenibili per le imprese, cui viene imposta una “tassa occulta" vicina al 20% del valore dei buoni stessi.  

Quello che si chiede è una riforma del sistema di erogazione dei buoni che parta da due punti fondamentali: la salvaguardia del valore nominale dei titoli e la definizione di tempi certi di rimborso da parte delle società emettitrici. In Trentino solo la Provincia gestisce buoni pasto per le imprese a costo zero, ma per gli altri buoni la situazione non cambia e resta fortemente penalizzante. Il sistema va dunque cambiato per tutti».

Dice il presidente dell’Associazione ristoratori del Trentino Marco Fontanari: «L’alta adesione a questo “sciopero” particolare dimostra quanto sia sentita dai colleghi la questione dei buoni pasto. Uno strumento potenzialmente molto utile, che con una gestione corretta può portare benefici a tutti i soggetti coinvolti, è diventato negli anni un costo insostenibile per gli esercenti, che vedono ridotti all’osso i propri guadagni quando, addirittura, non sono del tutto erosi, costringendoli a lavorare in perdita.

Stiamo lavorando su più tavoli, anche nazionali, per cercare una soluzione che faccia ritornare i buoni pasto alla loro funzione originale, ovvero quella di permettere ai dipendenti di usufruire di una rete di pubblici esercizi e ristoranti per i loro pasti, senza scaricare i costi – e le speculazioni – sull’anello debole della catena, cioè gli esercenti».

«I buoni pasto – spiega Fabia Roman presidente dell’Associazione pubblici esercizi del Trentino – sono una risorsa per i pubblici esercizi che, negli anni, hanno investito molto per offrire ai propri clienti pasti di qualità con un’offerta molto ampia. Oggi però il sistema è troppo oneroso e costringe molti operatori a fare valutazioni sull’opportunità di mantenere o meno questo servizio: tra telelavoro, commissioni e costi il servizio di buoni pasto non è più redditizio per le imprese. Occorre uno sforzo comune per regolamentare il mercato in modo da renderlo sostenibile per tutta la filiera, senza penalizzare né i dipendenti né tanto meno gli esercenti. Il sistema utilizzato dalla Provincia Autonoma di Trento ha indubbi vantaggi e non capiamo perché non possa essere di esempio anche per altre realtà».

Sono circa 1500 gli esercizi che in provincia accettano i buoni pasto. Molti esercizi stanno decidendo di non accettarli più almeno fino a quando la situazione non cambierà, perché: «Così non solo non c’è guadagno, ma lavoriamo in perdita».













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