Not, a volte un po' di autocritica non guasterebbe



rossi

Rossi mentre ammira il plastico del Not

Ha ragione il governatore Ugo Rossi quando - citando il presidente del Consiglio Matteo Renzi -  dice che "in Italia sugli appalti di opere pubbliche lavorano più gli avvocati che i muratori". L'ipertrofia legislativa, soprattutto in tema di lavori pubblici, è del resto uno dei mali peggiori del nostro Paese, un vulnus che rallenta lo sviluppo e tiene lontani gli investimenti stranieri.

Tuttavia questo male italiano era ben noto agli uffici della Provincia Autonoma di Trento quando decisero di avventurarsi nel maestoso e insidiosissimo appalto per il nuovo ospedale. Per giunta, la scelta cadde sul modello contrattuale del project financing che implica un coinvolgimento dei privati nella costruzione e nella successiva gestione dell'opera, modello sul quale Piazza Dante aveva scarsissima esperienza.

Alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, possiamo dire che la Provincia è caduta su un errore veniale, ma imperdonabile: la composizione della commissione aggiudicatrice. L'errore è veniale poiché si tratta di un dettaglio in apparenza marginale rispetto alla complessa e articolata architettura del bando che - va riconosciuto - ha retto al giudizio dei magistrati. E non era scontato. E' però imperdonabile, questo errore, per un motivo molto semplice: per la protervia con cui la Provincia ha continuato a fare finta che quel vizio non esistesse. Prima ancora dei giudici del Consiglio di Stato, prima ancora del Tar, e prima ancora delle aziende che si sono rivolte alla magistratura, era stato proprio il Trentino a evidenziare in una serie di articoli la discutibile composizione della commissione.

Era il marzo del 2013 e non serviva essere esperti di diritto amministrativo per comprendere che se due persone hanno partecipato allo studio di fattibilità di un progetto non possono pochi mesi dopo assurgere a membri della commissione che sancirà l'impresa vincitrice. In modo documentato abbiamo cercato di esporre i fatti, rilevando quelle che a noi apparivano le ombre della procedura. Dalla Provincia abbiamo ricevuto piccate rassicurazioni (della serie "non disturbate il manovratore").

Le motivazioni della giunta a sostegno della scelta di indicare una commissione composta da membri interni all'amministrazione potevano anche essere ragionevoli: tutelare il bando da possibili "infiltrazioni" esterne. Del resto un'opera come il Not faceva gola a molti colossi delle costruzioni in Italia, imprese non sempre specchiate come dimostra il coinvolgimento di alcune di esse in successive inchieste penali. Ma un conto è tutelarsi, un altro è farlo nel rispetto delle stringenti regole degli appalti, quelle stesse che invochiamo contro la corruzione quando ci fa comodo e che poi denunciamo come lacci e lacciuoli quando ci fanno perdere gli appalti.

Che l'appalto del Not lo avrebbe deciso un giudice era chiaro fin dall'inizio. A difesa di quella commissione "anomala" la Provincia ci ha messo la faccia contro tutte le critiche. Ora, per colpa di quel vizio macroscopico si torna indietro come al gioco dell'oca. Un po' di autocritica, a volte, non guasterebbe.













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