Rossella De Venuto «Vi racconto la mia doppia identità»

di Katja Casagranda Ospite tra le più attese della ventottesima edizione del Festival “ Bozner Filmtage- Bolzano Cinema” è la regista trentina Rossella De Venuto che presenta, dopo la prima di ieri...


di Katja Casagranda


di Katja Casagranda

Ospite tra le più attese della ventottesima edizione del Festival “ Bozner Filmtage- Bolzano Cinema” è la regista trentina Rossella De Venuto che presenta, dopo la prima di ieri a Bari, il suo film “Controra House of Shadows”, con cui firma il suo primo lungometraggio.

La presentazione della pellicola girata anche in Alto Adige con attori del luogo, si tiene oggi al Filmclub di Bolzano. Quindi dal 5 giugno arriverà nelle sale del circuito The Space distribuito da Interlinea Film e dunque sarà visibile anche in Trentino. Proprio in questi giorni infatti si sta definendo l’elenco delle sale. . “Controra House of Shadow” viene presentato oggi in regione per la prima volta, qual è l’emozione?

«Sono molto contenta, anche perché in realtà il giorno prima la pellicola è ospitata a Bari in un altro Festival cinematografico il Bi Fest, Bari Film Festival, quindi essendo il film diviso ed ambientato in questi due territori del nord e del sud Italia è un po’ come se ambedue abbiano ridato paternità al mio lavoro».

Come nasce “Controra House of Shadows”?

«Nasce perché è un po’ autobiografico. Io sono trentina, figlia di genitori pugliesi. Per cui ho vissuto a Trento fino a 18 anni ma passavo le vacanze in Puglia e quindi ho sempre vissuto queste due terre come mondi distanti che nel mio immaginario si identificavano con la terra bruciata dal sole del sud e i colori cristallini e il verde del nord. Nella mia storia avevo bisogno proprio di questo contrasto e quindi ho fatto viaggiare la protagonista dal nord di Dublino al sud della Puglia per poi dare la svolta di tutta la vicenda con un altro viaggio ancora, che è quello in Alto Adige. In quanto la rivelazione che poi dà significato a tutta la storia arriva proprio dal viaggio nel nord Italia».

Due mondi distinti, perché?

«Perché nella mia storia avevo bisogno e cercavo un mondo verde e più razionale, ma quindi anche più idilliaco rappresentato dal ricordo che avevo della mia terra, quindi della montagna e del Trentino, mentre in contrapposizione volevo un sud arido e sinistro da dove far partire tutta la vicenda. Ovviamente la storia, quindi l’intreccio è frutto di invenzione e fiction.

Parte della pellicola è ambientata in Alto Adige, benchè appunto la sua terra è il Trentino qual è la ragione di questa scelta?

«Abbiamo girato a Bressanone e poi nei dintorni di Bolzano, quindi a San Michele di Appiano e nel piccolo centro di San Genesio. Non ho scelto Trento esclusivamente per un problema linguistico. Nel senso che volevo che nel film, perché mi serviva per la vicenda, ci fosse la contrapposizione anche fra la parlata pugliese e invece il tedesco e l’accento tedesco».

È per questo che sono stati selzionati attori locali con un casting apposito?

« Si, volevo che fossero immediatamente riconoscibli come gente del posto. Non volevo la finzione di dover spiegare come essere parte di un’identità, ma volevo che quella particolare cadenza, quel particolare modo istintivo di vivere trasudasse senza forzatura. Questo è anche lo spirito di Film Commission con cui abbiamo lavorato, creare occupazione sul posto, ma se da una parte questo sta creando delle interessanti e belle realtà professionali a cui appoggiarsi in modo magnifico, dall’altro fa incontrare veri talenti. In Alto Adige ho incontrato attori davvero talentuosi che difficilmente hanno la possibilità di mettersi in mostra.

Eppure pur essendo vissuta e cresciuta in una città di provincia lei invece ce l’ha fatta?

«Ad un certo punto della mia vita io sono andata a Roma, ma mai avevo pensato che avrei fatto questo lavoro. Quando vivi a Trento non parli e non pensi, per lo meno non quando io ci vivevo e studiavo, di poterti realizzare in questo mondo o di provare ad entrarci. Invece poi quando sono andata a Roma e l’ho incontrato mi sono detta che se anche non ero una ragazzina, potevo provarci ed ora sono qui. La forza di arrivare dalla provincia è che ci si meraviglia di tutto, nel senso che quando passeggio per Roma io mi meraviglio di tutte le bellezze che vedo, invece chi le ha sempre avute sotto gli occhi non le “vede” nemmeno. Questo senso di meraviglia ci permette di essere più entusiasti e creativi, quindi penso che abbiamo una marcia in più».

Nella sua storia la diversità pare dare colore alla vicenda e al film, perché?

«Sì la protagonista è irlandese e quindi si parte da Dublino, poi si arriva in Puglia dove c’è una questione di eredità da sbrogliare e poi c’è questo viaggio al nord che sarà rivelatore circa un passato di cui la protagonista dipanerà la matassa. La protagonista è di carnagione chiarissima, tanto che aveva problemi con il sole del sud durante la registrazione, ma i suoi colori hanno fatto da contraltare invece a quelli del sud. Questo per dare la connotazione della diversità e della solitudine che ne deriva. Quella stessa solitudine che è poi la condizione ultima attraverso cui sarà la protagonista a vedere le “ombre” e portare a galla un mistero».

Quasi un thriller paranormale?

«Devo ammettere che mi sono ispirata a pellicole come “The Others” o “Rosemary’s Baby” ma la dimensione degli spiriti e delle ombre e i fenomeni paranormali mi sono serviti solo come linguaggio, come mezzo con cui penetrare di più la modalità di dire certe cose, premere l’acceleratore per andare più in fondo all’anima, insomma una forma narrativa. Io sono agnostica e a me non è mai successo nulla di paranormale».

Quanto c’è di autobiografico?

«C’è il mio senso di non appartenenza, quando stavo a Trento sentivo la diversità di avere i genitori del sud, mentre quando ero in vacanza al sud sentivo di non appartenere nemmeno a quel mondo. Ricordo che da bambini al sud nell’ora del pomeriggio, della “controra”, si doveva fare il riposino perché le nonne raccontavano queste storie di spiriti da cui scappare solo dormendo. A noi bambini che al nord invece non eravamo abituati al sonnellino pomeridiano pesava, però mi è rimasto dentro il ricordo appunto delle storie e delle atmosfere. Sì, nei colori e nelle atmosfere e in quel senso di non appartenenza c’è qualcosa di me. Ma il resto è finzione».

Si può dire che il diverso fa da specchio?

«Forse è meglio dire che il “diverso” ha una visione appunto diversa e magari più completa di ciò che invece chi è dentro o chi è omologato vive. Quindi solo una “diversa” poteva risolvere l’intreccio della vicenda e quindi di quella famiglia di cui ho parlato nel mio film».

Qual è il segreto per partire da Trento e arrivare al successo?

«Crederci e non mollare mai. Con questo entusiasmo sto già lavorando al prossimo film, un archeohorror ambientato a Roma».













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