Il generale che difese la sua terra. E i bambini
Jovan Diviak racconta la sua storia e quella della Bosnia: «Le lacerazioni sono ancora ben presenti»
TRENTO. Durante l’assedio decise di rimanere a Sarajevo e difenderla dall’attacco dei serbo-bosniaci del generale Mladic. Lui, pur di origini serbe, generale, si mise a capo, da numero due dello stato maggiore, della difesa territoriale durante i quattro anni di bombardamenti, tra il 1992 e il 1995, per 1450 giorni. Si era dichiarato cittadino della Bosnia e agì di conseguenza. Ora, con l’associazione fondata già nel ’94 promuove l’istruzione dei giovani, aiuta gli orfani di guerra, i disabili, chi è in difficoltà, le famiglie più povere. Quando si ha di fronte Jovan Diviak non ci si sente parlare solo di guerra. Quella, anzi, quelle, che nel corso degli anni Novanta hanno dissolto la Jugoslavia. Ma anche di presente e di futuro. Divjak, 81 anni, era ieri sera a Trento, al Sass di piazza Battisti, invitato dal progetto “Ultima fermata Srebrenica” promosso dalle Province di Trento e Bolzano per creare relazioni con quelle terre e dall’Arci. Parecchia la gente venuta ad ascoltarlo. E non ha mancato, fin da subito, di commentare l’attualità, le condanne all’ergastolo del generale Ratko Mladic (8000 musulmani maschi massacrati a Srebrenica) e di alcuni leader e ufficiali croati autori di efferatezze in Bosnia (clamoroso il suicidio in aula del generale Slobodan Praljak). Pene comminate dal Tribunale Onu dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia. “Purtroppo – ha sottolineato – con queste condanne la situazione generale è peggiorata. In Serbia questa sentenza contro Mladic è vista come una condanna nei confronti del popolo serbo. In Croazia, il generale suicidatosi è stato commemorato con un minuto di silenzio”. Segno che divisioni e lacerazioni sono ancora ben presenti. Ma ciò che sta più a cuore a Divjak sono i giovani e la loro istruzione. Non solo perché negli ultimi anni dalla Bosnia se ne sono andati in 80mila non intravedendo un futuro ma perché anche il racconto della storia è diviso e divide. “Nelle scuole della Repubblica Srpska (una delle due unità territoriali della Bosnia, ndr) – afferma – non è scritto né dell’assedio di Sarajevo né di Srebrenica. Nei territori della Bosnia a maggioranza croata, dopo la guerra veniva insegnato ai ragazzi che la loro capitale era Zagabria. Nei testi bosgnacchi gli studenti non trovano i riferimenti ai reati che anche i soldati musulmani hanno compiuto durante la guerra. È così che si preparano al futuro i nostri ragazzi. L’istruzione è di basso livello”.(pa.pi.)