l'intervista

Schwazer: «Mi alleno per tornare al top ma c’è tanta invidia»

Il marciatore altoatesino in questi giorni era a Vipiteno per proseguire la preparazione: «Con Donati c’è sintonia»


Marco Marangoni


VIPITENO. L’eleganza della marcia di Alex Schwazer fa effetto nella cornice severa della piana di Vipiteno. Da una parte l’imponente Castel Tasso, dall’altra l’Isarco poco più che torrentello. In mezzo una lingua d’asfalto dove il campione altoatesino, che unisce grinta, forza e carattere, prepara le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Per Alex il 2016, che sarà l’anno del ritorno alle gare, è iniziato tra le montagne di casa sua, quelle della Wipptal. Senza il “Prof”, Sandro Donati, Alex macina chilometri appoggiando prima il tacco e poi la punta non badando alle temperature ormai sotto zero. È un Alex cambiato, maturo, fisicamente perfetto, quello che abbiamo incontrato ieri al termine del suo ultimo allenamento casalingo. Oggi tornerà a Roma. Da domani inizierà una nuova fase nella programmazione.

Che bilancio traccia di questi primi nove mesi assieme a Sandro Donati?

Sono trascorsi in fretta. Un po’ come avevamo organizzato questo progetto. Considerando che io mi dovevo abituare ad un nuovo allenatore e che lui proveniva da altre discipline, il tempo è stato inferiore a quello che avevamo preventivato. Tutto è stato molto veloce. Siamo in sintonia e col trascorrere del tempo siamo diventati anche amici. Sono molto contendo di quello che ho fatto anche senza gareggiare. Nel 2013, quando mi sono ripreso anche a livello mentale, ero tornato ad allenarmi un po’ per necessità perché negli anni precedenti avevo lavorato molto. Però erano uscite senza traguardi e senza ambizioni.

Come sono organizzati i vostri allenamenti, è vero che non badate troppo ai chilometri?

Si, è vero, non siamo fissati sui chilometri perché quel concetto non è tutto. Siamo concentrati su una preparazione globale, su sedute di qualità che vanno dalla resistenza alla velocità. La tecnica la curo ogni giorno perché il gesto corretto deve diventare una cosa automatica.

Cosa risponde a chi non la vorrebbe alle Olimpiadi di Rio?

Dico che non sono io il problema. Purtroppo, però, c’è tanta invidia. Il nostro è un piccolo settore e ci sono situazioni dove uno è contro l’altro. Peccato perché così si fa male alla marcia. Non conosco le dinamiche attuali, io mi alleno da solo, ma credo che per qualcuno sarebbe interessante allenarsi con altri.

Quali sono stati i momenti più difficili?

Ce ne sono stati tanti. Per esempio come sono stato trattato dal mio stesso ambiente. Dopo un po’ ti abitui e superi tutto.

Ci sarà ancora l’Alto Adige in un suo progetto di vita?

Quando terminerò la mia attività sicuramente tornerò a casa stabilmente. Qui ho le mie radici, le mie amicizie più profonde. Abbiamo trascorso le festività in famiglia, c’era anche mio fratello Oliver arrivato da Londra. Adesso è il momento di tornare a Roma dove sono molto concentrato su quello che sto facendo. Frequento ambienti dove ci sono persone fuori dal mondo dello sport. Devo dire che mi piace molto parlare un po’ di tutto. In Alto Adige stiamo bene, ma giù ci sono situazioni difficili dove si vedono persone di 70 anni che al semaforo chiedono l’elemosina magari dopo aver lavorato una vita. Sono argomenti sui quali rifletto molto.

Tante persone che l’hanno pesantemente criticata per quanto ha fatto adesso fanno il tifo per lei. Come mai?

Dopo aver commesso il grande errore di doparmi ho imboccato un certo tipo di strada. Ho notato che il pensiero delle persone cambia quando ti conoscono personalmente. Ho notato che chi è fuori all’ambiente sportivo ha una visione molto più aperta.













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