Vason, scontro in tribunale sui lavori alla chiesetta
La moglie e la figlia dell’architetto Pontara chiamano in causa il Comune di Trento per la ristrutturazione dell’area: «Danneggiata la reputazione del professionista»
TRENTO. Un intervento urbanistico che ha «snaturato la chiesetta, ne ha ridotto la bellezza e l’ha danneggiata e ha recato pure pregiudizio alla reputazione dell’architetto Giorgio Pontara». Queste sono le ragioni che hanno spinto la moglie e la figlia del professionista (morto nel 2000) a far causa contro il Comune di Trento. Al centro della disputa la chiesetta del Vason progettata, negli anni Sessanta, da Pontara. Quello che le eredi dell’uomo chiedono è che il Comune faccia marcia indietro e ripristini la situazione ante 2011 e lo hanno fatto portando l’amministrazione comunale davanti al giudice. Agendo «a tutela della reputazione del progettista-costruttore e della sua opera, ed altresì di un bene da ritenersi comune, in quanto strumentalmente collegato alla realizzazione di interessi anche propri, quali membri della collettività del Monte Bondone, cittadine di Trento, credenti e fedeli cristiane». La causa è finita davanti al tribunale ordinario ma il Comune ha sollevato il difetto di giurisdizione. Spiegando che la vicenda ha come oggetto «le modalità seguite dal Comune circa l'uso del demanio e del patrimonio indisponibile e circa l'uso urbanistico ed edilizio del territorio, non solo relativamente alla chiesa ma anche più ampiamente con riguardo al terreno e al piazzale circostanti». Le eredi Pontara hanno quindi proposto ricorso in Cassazione per il regolamento preventivo di giurisdizione, in base al quale è stata emessa un’ordinanza della suprema corte che ha dichiarato che la causa è da discutere davanti al tribunale amministrativo regionale.
Ma cosa contestano la moglie e la figlia dell’architetto? Nel 2011 il Comune, all’interno di un lavoro di riqualificazione della zona nella quale insiste la chiesetta, ha abbattuto diverse conifere che si trovavano a ridosso dell’edificio. E ha innalzato di un paio di metri il piazzale che si trova davanti. In questo modo è stato «affondato» nel terreno ed è sparito alla vista l’alto basamento in pietra bianca della chiesa. Un «elemento architettonico essenziale per la sua funzione e la sua immagine, in sé e nel rapporto con l'ambiente ed il paesaggio» si legge nella ricostruzione della causa che viene fatta all’interno dell’ordinanza della Cassazione.
Ci sarebbero state, quindi, delle modifiche all’opera e quindi la causa tocca i temi del «rapporto tra l'autore, la sua opera e le modificazioni che all'opera sono state imposte dal proprietario».
L’opera di riqualificazione della zona era costata al Comune un milione e 700 mila euro e uno dei fini che si volevano raggiungere era quello di liberare gli spazi aperti, ed in particolare del piazzale antistante la chiesetta, dalla morsa dei veicoli in sosta. Con la «trasformazione - veniva spiegato - dello spazio pubblico antistante la chiesetta in una piazza pedonale per la socializzazione e l'animazione dell'abitato, facendo attenzione a ripristinare i corridoi prospettici sul paesaggio dolomitico, ora coperti dagli alberi».