Una "bufala" di mozzarella, condannata a tre mila euro

Da un controllo del ministero in un negozio di Trento è emerso che il formaggio messo in vendita era in realtà vaccino. La difesa: si è trattato di un errore



TRENTO. Quella mozzarella è una bufala e non confezionata con il latte di bufala. Così hanno certificato i risultati del laboratorio di Modena nel Mipaaf, il ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali e da qui la condanna firmata dal giudice Avolio al pagamento di un’ammenda da 3 mila euro. A mettere la mano al portafoglio (ma non si può escludere, al momento, un possibile ricorso in appello) sarà la legale rappresentante della Dimanu, società de «La latteria del sole».

Questa vicenda parte con la visita nel negozio di due ispettori del Mipaaf impegnati in un controllo. In base alla ricostruzione che è stata fatta in aula i due, dopo essersi qualificati, avrebbero chiesto un pezzo di mozzarella indicando uno dei prodotti esposti nella vetrina. E spiegando che sarebbe stato analizzato. Il commesso - e qui potrebbe essere nato l’equivoco - va nel retro per prendere un pezzo di mozzarella che arriva dalla stessa «informata». Il tutto viene incartato e la visita finisce lì. Il pezzo di formaggio finisce quindi nel laboratorio ministeriale di Modena e da lì arriva la risposta lapidaria. Il campione sarebbe stato preparato con una miscela di latte di bufala con latte vaccino della proporzione di 5:95. Ossia 5 parti di latte di bufala e 95 di latte di mucca. E per ciò non poteva essere venduta come mozzarella di bufala. Dalla procura parte quindi un decreto penale di condanna con la «richiesta» di pagare un’ammenda pari a 1.500 euro.

La società però decide di impugnarlo: può spiegare che si è trattato di un errore e che i prodotti di latte di bufala che vende sono effettivamente fatti con il latte di bufale. E c’è quindi l’opposizione al decreto penale di condanna e si arriva all’udienza di venerdì. Fra i testimoni vengono chiamati anche i due ispettori ministeriali che confermano tutto: ossia di aver chiesto un pezzo di mozzarella indicandolo fra quelli esposti in vetrina. E che quel formaggio era messo in vendita con la dicitura «mozzarella di bufala».


Diversa è la versione che viene fatta dal commesso che si era occupato di quei due clienti un po’ speciali. Avrebbe detto che gli era stata richiesta della mozzarella e per lui la mozzarella è quella vaccina. Ossia per avere mozzarella di bufala è necessario specificare proprio il tipo di animale di riferimento, ossia la bufala. E quindi quando è andato nel retro per tagliare un pezzo di mozzarella, lui ha tagliato quella vaccina. E quindi il risultato delle analisi di laboratorio sarebbe stato congruo con quello che aveva incartato. Insomma si sarebbe trattato di un errore, uno scambio di mozzarelle. Queste argomentazioni non hanno però convinto il giudice Avolio che ha deciso per una condanna che ha portato al raddoppio dell’ammenda che era prevista dal decreto penale. E quindi tremila euro.













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