Trento: addio a Ruggero delle «Bollicine»
Pisetta è morto a 63 anni, dopo tre mesi di malattia. Aveva ancora tante idee
TRENTO. Aveva compiuto 63 anni lo scorso 6 aprile. Già a letto, malato ma con la forza di raccomandare ai figli ed alla moglie Gina «Non lasciate che mi taglino le ali». Se n'è andato così, dopo soli tre mesi di malattia, Ruggero Pisetta, che tutti a Trento e provincia conoscono per quello che era ed è stato: un uomo che ha fatto del contatto con la gente il suo cavallo di battaglia. Vincente, non sempre, sicuramente di razza.
«Ha combattuto fino all'ultimo - racconta la figlia Sabrina - come un leone, deciso a non mollare, voleva alzarsi, voleva andare al lavoro, aveva - come sempre - mille vulcaniche idee». Che poi si traducessero tutte in realtà era un'altra storia ma almeno, questa era la sua filosofia, Ruggero non aveva lasciato nulla di intentato.
Ruggero per tutti ha legato indissolubilmente il suo nome al locale storico della città, quelle "Bollicine" che hanno segnato, come lo fu per la Vecchia Trento, per la Cantinota, per il Waikiki, la bella vita che dagli anni Sessanta in poi, incoronò Trento in un ruolo che ora non le appartiene più.
La battuta facile, la simpatia contagiosa, lo sguardo furbo a volte nascosto dagli occhiali, la sigaretta sempre all'angolo della bocca, fino a quando decise di punto in bianco di smettere, il Maggiolone che faceva figo quando gli altri lo prendevano in giro. Ruggero Pisetta coronò il suo sogno d'amore il 19 ottobre del 1969, portando all'altare Gina che sarebbe diventata la sua metà non solo nella vita, ma anche nel lavoro. E molto spesso quella metà diventava un tre quarti o un intero completo, tanta era l'energia che sapeva trasfondere.
Due figli, Sabrina, 40 anni ed Alessandro 37, poliziotto fuori città: due nipoti, la luce dei suoi occhi. Francesca di sette anni e mezzo e Lucrezia di 4. Per la più grandicella, Ruggero ha speso le ultime parole. Lui era il patriarca anche in casa, nella dimora di famiglia di via Vittorio Veneto. Pisetta negli anni Settanta aveva inventato un ristorante sul lago di Caldonazzo che vantava già allora tre stelle, il Concorde, poi d'inverno riusciva a gestire contemporaneamente ben tre rifugi in quota in Val di Fassa, sul Lusia. Poi le Bollicine, per dieci anni, dal 1985 al 1995, con la chiusura solo quando a Trento arrivò il Papa.
Terminata quell'avventura notturna, la gestione al Bar Verdi, qualche stagione a Le Rindole di Andalo, stazione di sosta per sciatori della domenica e non solo, sempre con la fida Gina al fianco, in cucina, ai tavoli, alla cabina di regia. Tanto lui era istrione, tanto lei era nascostamente ma fattivamente costruttiva.
Poi da qualche anno, dopo aver conosciuto e collaborato con Alberto, alla sua scomparsa, il rilevamento della Mazzoni ricevimenti, un catering che l'impegnava tantissimo e per il quale stava dando tutto. «Ciò che ricordo con piacere di mio padre - dice la figlia Sabrina che lo chiamava papà ma spesso anche solo e semplicemente Ruggero e che ora porterà avanti l'attività di ricevimento culinario - è stato il suo coraggio, la capacità di rialzarsi sempre e comunque. Anche ultimamente, quando ci è piovuta addosso la malattia, lui l'ha combattuta più per noi che per sé stesso, non si dava per vinto, non accettava che ci fosse qualche cosa che poteva avere ragione della sua voglia di fare, di andare avanti. Con un altro progetto, con un'altra avventura». Questa volta il calice lo alzeranno per lui i pochi amici rimasti. Le esequie domani, alle 14, al civico cimitero.
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