rovereto

«Suicida in cella: vogliamo giustizia»

La famiglia presenta una memoria alla Procura di Trento. Che continua i suoi accertamenti sul tragico episodio



ROVERETO. Chiede giustizia la famiglia di Luca Soricelli, il 35enne roveretano morto suicida nel carcere di Spini di Gardolo nella notte fra il 16 e il 17 dicembre scorsi. L’avvocato Stefano Trinco, nominato dal fratello del giovane, ha depositato una memoria in Procura, a Trento, in cui viene sollecitata una serie di accertamenti sul drammatico episodio.

Luca Soricelli era stato arrestato dai carabinieri per il rovinoso incendio appiccato al distributore Eni di via Cavour, dove aveva sparso un centinaio di litri di benzina prima di appiccare le fiamme. Avrebbe dovuto attendere l'udienza fissata in tribunale per l'8 febbraio, ma non ha retto psicologicamente e si è impiccato con un lenzuolo al cancello della sua cella, nella casa circondariale di Spini di Gardolo dove era detenuto da tre giorni, dopo l'udienza di convalida.

Una morte tragica, che ha dato adito a molti interrogativi sul provvedimento di custodia in carcere, a prese di posizione pubbliche e a manifestazioni, come il presidio di martedì in piazza Loreto. Una manifestazione, quest’ultima, dal titolo “Basta morti in carcere”. Nel volantino, un duro attacco alla magistratura e ai medici: “La custodia cautelare, chiesta dal pm, avallata dalla psichiatra e firmata dal giudice, è stata una condanna a morte”, si legge. “Non si tratta di una tragedia a cui rassegnarsi. Ci sono delle responsabilità ben precise. Anche se non conoscevamo Luca, stando zitti, ci sentiremmo complici”.

Sempre nel documento, si descrive il giovane come “seguito (o inseguito) dalla psichiatria fin dal 2006”, si aggiunge che al processo per direttissima Luca “non aveva detto una parola”, mentre la psichiatra alla quale era stata richiesta una consulenza aveva dichiarato “che lo stato mentale dell’imputato era “compatibile con la detenzione”. Su tutti questi aspetti chiede sia fatta chiarezza il fratello di Luca, una delle persone che gli sono state più vicine nel suo percorso di sofferenza. Su come siano andate le cose al momento dell’incendio, dell’accesso al pronto soccorso (dove il giovane si sarebbe presentato spontaneamente), della denuncia ai carabinieri e della valutazione della compatibilità alla detenzione.

L’episodio era stato iscritto nel registro degli atti che non costituiscono una notizia di reato. Ciò comporta automaticamente che, almeno in questa fase, non possano esservi indagati. Ma la Procura ha deciso di tenere aperte le indagini proprio per non escludere alcuna possibilità.













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