Sport estremi: una base jumper muorelanciandosi dalle rocce in Trentino
Una base-jumper ha perso la vita in Trentino, lanciandosi da una parete rocciosa. L'incidente è avvenuto vicino a Dro, in località Gaggiolo, nella zona delle cosiddette pareti zebrate, dal doppio colore delle rocce. La vittima è una giovane statunitense
DRO. La passione per il base jumping l’ha uccisa. Allisyn Beisner, 37 anni, californiana, si è schiantata ieri contro la parete del monte Brento. L’ennesima tragedia, alla quale gli abitanti di Dro sono tragicamente abituati e che gli stessi jumper mettono in conto. L’americana aveva raggiunto di buon’ora - erano le 7.30 - insieme al marito Nicola Martinez di origine portoghese, il Becco d’Aquila. Uno dei siti più belli d’Europa, un vero e proprio trampolino naturale, forte attrazione per gli appassionati di sport estremo.
I due jumper sono giunti a Dro con un bagaglio di esperienza notevole. E le condizioni di vento, ieri, erano praticamente perfette.
Non era la prima volta che Allisyn e Nicola si buttavano dal Becco d’Aquila. Il ragazzo è stato il primo a buttarsi giù con la tuta alare, che ha il pregio di aumentare la sicurezza del volo. Chi la indossa infatti, una volta lanciatosi nel vuoto e aperte le braccia, inizia a planare come un uccello, prima di aprire il paracadute. Questa nuova tecnica consente al jumper di allontanarsi subito dalla parete a differenza di quella tradizionale, che prevede sempre il lancio da postazione fissa, ma la caduta a strapiombo lungo la parete. In questo caso basta una folata di vento o una manovra errata prima di aprire il paracadute, per finire schiantati contro i massi. Allisyn amava lanciarsi alla vecchia maniera ed è così che ieri è saltata giù, subito dopo Nicola. Nessuno saprà mai che cosa sia davvero successo: la tragedia si è consumata nel giro di pochi minuti. Il ragazzo, una volta sceso al Gaggiolo, non vedendo la compagna di salto e di vita (i due si erano sposati lo scorso anno), ha iniziato ad arrampicare lungo il sentiero, pensando che Allisyn si fosse fermata a metà del monte, su una piazzola, dove i jumper spesso atterrano. Ha impiegato più di un’ora per risalire, poi non vedendola ha cercato con gli occhi tutt’attorno e l’ha vista, riversa in fondo al vallone. Immediato l’intervento dell’elicottero del 118, del soccorso alpino e dei carabinieri della stazione di Dro. «L’operazione di recupero della donna - ha raccontato Ezio Parisi vice-capostazione della squadra di Riva - è stata complessa, infatti il mezzo non poteva avvicinarsi troppo, perchè il flusso d’aria avrebbe gonfiato la vela del paracadute e rischiato di trascinare via il corpo. Così l’elicottero ci ha lasciato più in basso rispetto al luogo dell’incidente, abbiamo arrampicato fino a raggiungere la ragazza e messo la zona in sicurezza per consentire ai sanitari di lavorare». Le condizioni della jumper sono apparse da subito irreversibili: priva di conoscenza, probabilmente morta sul colpo. «Anche se il marito - ha commentato Parisi - ci avesse chiamato prima, non so se saremo riusciti a salvare la ragazza. E’ vero che tra l’ora del lancio e la richiesta di soccorso è trascorsa più di un’ora, ma è altrettanto vero che quando accadono incidenti del genere, è difficilissimo salvarsi». Un’altra vita spezzata per rincorrere l’ebrezza del volo libero, per il piacere estremo di sfidare la sorte e le leggi della natura. Sentire il vento tra i capelli, toccare il cielo con un dito danno l’idea di immortalità: come se tutto fosse consentito. Invece bastano pochi secondi perchè l’orologio della vita smetta di ticchettare.