Si è spento a 92 anni il senatore Glicerio Vettori
Amministratore a Rovereto dal 1946 al 1960, in Provincia dal 1968 al 1976 poi quattro mandati a Roma. Vettorazzo: «Viveva la politica come servizio»
ROVERETO. E’ morto a Sacco, nella Rsa di cui era ospite da qualche anno, Glicerio Vettori. Consigliere ed assessore in Comune e poi in Provincia, senatore per quattro legislature, esponente di spicco della Democrazia Cristiana, aveva 92 anni.
Alla politica Glicerio Vettori si era avvicinato appena finita la guerra, al ritorno dai due anni di prigionia nei campi di prigionia nazisti. Un’esperienza che lo aveva segnato profondamente e a cui lui stesso riconduceva la nascita di quella passione per la politica che avrebbe segnato la sua vita e la storia roveretana. Nel 1946 Giuseppe Veronesi, alla guida del primo esecutivo roveretano del dopoguerra, lo aveva voluto in giunta. E assessore comunale, con deleghe diverse, era stato poi anche nelle legislature seguenti, ancora con Veronesi e poi con Ferruccio Trentini. Un’attività che affiancava, come avrebbe sempre fatto, a quella di imprenditore: gestiva l’impianto Ognibeni Vettori, poi Calce Mori. Impresa di famiglia, fondata addirittura dal nonno, nell’Ottocento, che trasformava in calce il calcare dei Lavini.
Dopo le prime esperienze in consiglio comunale, l’unica pausa dalla politica attiva, negli anni Sessanta. «Mi ero dedicato di più all’impresa di famiglia - spiegava lui stesso nel 1992 in una intervista concessa a Sergio Molinari al ritiro dalla politica - ma poi ero stato richiamato in seguito ad un rinnovamento nel partito». E nel 1968 era stato convinto a candidarsi per la Provincia. Eletto e confermato, anche in giunta, anche nel 1973. Si sarebbe dimesso tre anni dopo, nel maggio 1976, rispondendo ancora una volta alla “chiamata” del partito: c’era da sostituire Giovanni Spagnolli ed era stato ritenuto l’uomo giusto per farlo. Nel 1976 entrava per la prima volta in Senato, dove sarebbe stato confermato altre tre volte: nel 1979, nel 1983 e nel 1987. Nell’aprile 1992 cessava la quarta legislatura e si era ritirato. «Aveva settant’anni - ricorda la figlia Elena - ma soprattutto diceva di essere disgustato dalla piega presa dalle cose e dalla politica, non ci si riconosceva più. E quindi aveva smesso. Continuando l’impegno con l’associazione ex internati, ma senza più avere alcuna parte nella politica attiva. Seguiva però, commentava. Ricordo di avergli sentito dire tante volte che se il Trentino avesse avuto i soldi che girano ora ai tempi di Kessler e suoi, lo avrebbero rivoltato come un calzino. Ma era sereno. “Ho sempre avuto tanto dalla vita” era un’altra sua frase ricorrente».
L’ultima occasione in cui si era speso pubblicamente nella politica locale risale al 2005, al ballottaggio tra Roberto Maffei e Guglielmo Valduga. Si era schierato per Maffei. Ma forse più per la vicinanza a Fabio Demattè, quello che in qualche misura nella politica cittadina era considerato universalmente il suo «delfino», che per la effettiva passione per il candidato sindaco.
Padre di quattro figli, Elena, Laura, Marco e Claudio, nel 2008 aveva perso la moglie, Pia Mariotti. Gli amici lo ricordano al funerale, e dicono di averlo visto per la prima volta porstrato, anche fisicamente. Il primo gennaio 2011 cadendo in casa si era rotto la testa del femore, e da quel banale incidente non si era più ripreso. Non solo non aveva recuperato la capacità di camminare, ma aveva poi trovato anche grandissime difficoltà di parola. Una pena per un uomo come lui. «L’ultima volta che ci siamo visti - ricorda Sergio Matuella - era in carrozzella e non mi credo mi avesse riconosciuto. Abbiamo condiviso momenti importanti, lavorando benissimo assieme pur essendo molto diversi. Lui era più portato al contatto con le persone, andava ovunque lo invitassero con enorme generosità. Ma era anche uomo di grande concretezza: si è dato da fare, ha ottenuto grandi risultati. Al di là dell’affetto, un uomo di grande valore».
«La cosa che più mi colpiva di lui - ricorda Guido Vettorazzo - era la straordinaria misura. Si applicava ai problemi cercando una soluzione e lavorava moltissimo, ma senza perdere umiltà e capacità di confrontarsi con tutti. Brillante, anche come oratore. Aveva un senso alto della politica, intesa come servizio: se hai delle capacità le sfrutti e le metti al servizio di tutti, era la sua lezione. E questo gli è valso, sempre, una stima trasversale».
«Una delle persone più corrette - ricorda Erminio Lorenzini - che abbia mai incontrato. Sul piano politico come su quello personale. Era lineare, affabile, disponibile. Direi addirittura mite. Ha avuto una carriera politica straordinaria, ma sempre rispondendo alle richieste del partito, mai agendo per ambizione personale. Ispirava fiducia, ma quello che è più importante è che se la meritava. Perdiamo un personaggio della vita e della storia roveretana come ce ne sono stati pochi».
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