«Referendum, meglio esaurire i giacimenti»

L’ingegnere Paolo Baggio dell’Università di Trento spiega le ragioni del no «L’impatto ambientale c’è anche quando si smantella una piattaforma»


di Paolo Piffer


TRENTO. In Trentino non è così semplice riuscire a trovare qualcuno, tantomeno un fronte, che si esprima per il No al cosiddetto referendum sulle trivelle per il quale gli elettori sono chiamati ad esprimersi domenica prossima. Meglio definita, invece, la “prima linea” del Sì di una consultazione promossa da 9 Regioni sostenute, su scala nazionale, da oltre 160 associazioni ambientaliste e non, tra cui le Acli, ma anche da forze politiche quali i Verdi e Sel e, in città, da “L’altra Trento a Sinistra”.

Tra gli incontri informativi, questa sera alle 20,30 nella sala conferenze del Muse si confronteranno, su invito dell’Upt, Marco Ianes, progettista ed insegnante, che voterà Sì e l’ingegnere Paolo Baggio del Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’università di Trento che sostiene la ragione opposta. Domenica gli italiani saranno chiamati a decidere di abrogare, o meno, la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane (cioè nelle acque territoriali nazionali) senza limiti di tempo, ovvero fino ad esaurimento dei giacimenti. Votando Sì, una volta terminate le concessioni le piattaforme per l’estrazione degli idrocarburi dovranno essere smantellate. Votando No tutto rimarrà come prima e le società potranno, al termine della concessione, se petrolio e gas ce ne fosse ancora, ottenere le deroghe previste dalla normativa per dare “fondo” al giacimento. “È un referendum inutile”, sostiene Baggio.

Perché?

Per un semplice fatto. Votando Sì viene avallato il blocco dell’estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia marine una volta conclusasi la concessione. Personalmente, penso che sia meglio che le piattaforme già esistenti completino il loro lavoro fino all’esaurimento del giacimento. Teniamo presente che l’impatto ambientale non c’è solo quando si installa una piattaforma ma anche quando viene smantellata.

È un referendum che però ha una valenza ambientale più ampia del quesito in sé. Può essere inteso come una presa di posizione a favore della salvaguardia ambientale marina ma anche un contributo per calmierare il riscaldamento globale determinato dalle emissioni di Co2.

Sono due problemi molto diversi. La salvaguardia del mare la si garantisce assicurando che gli impianti funzionino correttamente. E qui si tratta di controllare. Il riscaldamento globale riguarda le emissioni di Co2 e non tanto le piattaforme che estraggono i combustibili fossili ma l’uso che di questi viene fatto. Se al referendum prevalesse il Sì succederà che l’Italia, per compensare, importerà un po’ più di idrocarburi dall’estero. Aggiungo poi che la stragrande maggioranza delle piattaforme “interessate” dal referendum estrae gas e non petrolio, che è molto poco. E poi, l’insieme delle estrazioni somma solo all’1% del fabbisogno nazionale.

Ma, insomma, queste piattaforme fanno danni o no?

Tutte le manipolazioni e i flussi di energia qualche impatto sull’ambiente ce l’hanno. Il problema, semmai, è un altro. E cioè se “spegnendole” l’impatto, globalmente, diminuirà. In sintesi, se petrolio e gas non verranno più “presi” da lì ma, se servisse, lo si farà da qualche altra parte non cambierà nulla a livello globale.

Lei andrà a votare?

Non lo so. Non ho ancora deciso. Ho qualche giorno per pensarci.













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