«Per lui la politica non è tutto, Ale ha fatto una scelta di vita»

Andreatta: «Ho provato a convincerlo che era l’uomo giusto per il 2013, ma non ce l’ho fatta». Il Pd? «I rischi li vedo anch’io. In Trentino serve più coesione, abbiamo persone su cui puntare»


di Chiara Bert


TRENTO. «La politica nella sua vita è tanto ma non è tutto». Alessandro Andreatta è stato 10 anni in giunta con Alberto Pacher, suo vicesindaco, ma soprattutto amico fidato.

Sindaco Andreatta, come ha preso la decisione annunciata ieri da Pacher di non ricandidarsi?

Mi dispiace molto naturalmente, per me Alberto è un riferimento e un amico. Sapevo di questa intenzione. L’ho incontrato qualche settimana fa, abbiamo parlato a tu per tu per due ore. Io l’ho incoraggiato a continuare, perché penso che fosse l’uomo più giusto a guidare la Provincia dopo Dellai.

Perché l’uomo giusto?

Perché lui è popolare, amato dalla gente, raffinato ma al tempo stesso molto trentino, nel senso che è un appassionato di montagna e di sport. Un politico equilibrato e con una solida esperienza.

Però non era più sostenuto in modo compatto dal Pd.

Lui non è un uomo solo. Nel partito molti sono con lui. C’erto c’è chi non lo ama.

Come si spiega una scelta così forte da parte di chi potrebbe ricoprire un ruolo così importante?

Vede, c’è uno stile Pacher, che significa un approccio leggero, morbido alla politica. La politica nella sua vita è tanto, ma non è tutto. Ha sempre voluto avere altre cose di cui sono stato testimone per anni: la famiglia, la montagna, lo sport, le letture, il cinema, la vita quotidiana e le persone. Abbiamo sempre parlato molto di tutto questo. Lui mi ha sempre detto che la politica a volte prende il sopravvento ma non può essere la politica a prendersi la maggior parte della nostra vita.

La critica che da sempre gli viene mossa, negli ultimi tempi in particolare, è di essere poco decisionista.

Lo so, per qualcuno questo è il suo punto di debolezza, lo avrebbero voluto vedere più schierato, più battagliero. Ma lui non è così.

Nella lettera lancia una frecciata pesante ad alcuni giovani esponenti del Pd. Quanto può aver pesato sulla sua scelta il peso di una battaglia interna?

Pacher è un signore della politica, molto rispettoso con tutti. È la sua cifra, sostiene le sue ragioni ma per scelta non va allo scontro personale. È un modo di fare politica che non gli appartiene. Altro non voglio dire, perchè io la lettera non l’ho ancora letta nella sua interezza (Andreatta nel weekend era a Berlino, ndr).

Pacher ha parlato di un Pd nel quale non si riconosce più perché ha perso la sua vocazione maggioritaria. Condivide?

Sì, anch’io vedo questo rischio. Vedo primarie senza confini di coalizione, dove non si capisce se alla fine il vincitore sarà riconosciuto da tutti gli alleati. Il Pd è nato per parlare a tutti, non solo a una parte. Io e Pacher veniamo da tradizioni politiche diverse, io dalla Dc, lui dal Pci. L’incontro nel Pd è stato il punto massimo della nostra convergenza, la nostra “casa politica” nel quale riconoscerci. Oggi occorre ritrovare quello spirito iniziale del Partito democratico.

Cosa succederà ora al Pd trentino?

Penso che la scelta di Pacher farà riflettere molto. Il Pd resta il primo partito del Trentino, ma ha bisogno di più coesione e compattezza per esprimere un proprio candidato, al pari di altri partiti della coalizione.

Pensa a esponenti del partito o anche ad esterni?

Sicuramente ci sono persone all’interno.

Il segretario Nicoletti ha chiesto a Pacher di ripensarci. Crede che potrà cambiare idea?

Credo che la sua sia una scelta di vita, un mix di esistenziale e di politico. E difficilmente tornerà sulle sue decisioni.

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