Pacher come Prodi: niente tessera Pd
La delusione del partito. Ma Italo Gilmozzi: «È a lui che chiedo consigli, anche se non iscritto». Andreatta: «Chiusa una stagione, ma ritroverà entusiasmo»
TRENTO. Ale Pacher e Romano Prodi. Il paragone oggi non è azzardato. C’è la delusione per il Pd, per questo Pd. C’è che entrambi non hanno rinnovato la tessera di partito. Stop, almeno per ora. «Questa politica non è più pane per i miei denti», ha detto venerdì Pacher congedandosi dalla presidenza della Provincia e da 23 anni di politica. Lo ha fatto con il suo stile, controllando l’emozione. Una stagione si è chiusa, «voglio staccare per un po’». Tornerà a fare lo psicologo in Azienda sanitaria, la «terza fase della vita» l’aveva chiamata ancora da sindaco, prima di candidarsi alle provinciali. E nell’intervista rilasciata un mese fa al Trentino aveva riassunto così il non sentirsi più a suo agio nella politica di oggi, ricordando quando il gruppo del Pci in Comune - era il 1993, Dellai sindaco - lo propose come assessore, lui giovane consigliere da soli tre anni, candidato indipendente nella lista del Partito comunista.
La notizia che Pacher non aveva rinnovato l’iscrizione circolava da un po’, venerdì il presidente uscente l’ha confermata. Senza enfasi. Il suo giudizio sul partito del resto è noto da tempo. E il partito, appunto, come ha reagito? «Non mi stupisce, vita di partito non ne fa da tempo, è evidente che qualche difficoltà nel Pd l’ha avuta, è uno dei motivi per cui ha ritenuto di lasciare la politica», spiega Italo Gilmozzi, coordinatore del Pd e uno degli uomini da sempre più vicini a Pacher. «Fare la tessera è l’ultima cosa che gli chiedo. Che sia iscritto o meno, è una delle persone che sento più spesso in questi giorni (di trattative sulla formazione della nuova giunta Rossi, ndr), a cui chiedo più consigli. Mi sono confrontato con lui e lui mi è stato di sostegno». «Non è una tessera che cambia le cose - continua Gilmozzi - so che Ale ha votato Pd ed è questo che conta. La sua vicinanza da non tesserato nei miei confronti, in questi giorni, è stata infinitamente maggiore della vicinanza di alcuni tesserati a lui durante il suo impegno in Provincia».
E tuttavia la scelta di chiamarsi fuori dal PD di cui è stato il primo segretario alla nascita, nel 2008, non può passare sotto traccia e non interrogare chi di quel partito oggi fa parte. «Ci sono situazioni dove l'appartenenza alla propria corrente è più importante dell'appartenenza al partito. Questo è uno dei motivi che hanno portato all'orrenda pagina dell'affossamento di Prodi alla presidenza della Repubblica e credo anche una delle ragioni della sconfitta del Pd alle primarie in Trentino», aveva ripetuto Pacher nell’intervista di ottobre.
Il sindaco di Trento Alessandro Andreatta è un altro degli uomini con cui Pacher ha condiviso i lunghi anni alla guida del Comune. Un percorso politico ma anche umano, e di condivisione dell’approdo al Partito democratico. La tessera non rinnovata? «Mi dispiace, certo, ma non ne faccio un dramma», dice Andreatta. «Il Pd resta il suo partito di riferimento, lo ha votato e non potrebbe non votarlo. Dopo 23 anni ha il desiderio di uno stacco, di potersi occupare d’altro. E forse questo tempo gli servirà per riflettere e magari capirà che nel Pd può trovare ancora ragioni di entusiasmo. Chi lo sa, magari già al prossimo congresso provinciale a febbraio. In molti gli chiedono di non scomparire dalla comunità trentina, più che dalla politica». Il sindaco di Trento torna allo scorso ottobre: «La sua scelta di oggi è legata a quello che disse allora. Con questo Pd, ma è più giusto dire con una parte del Pd, ha faticato e sappiamo il perché. Questa stagione politica la sente meno sua, lui che era legato alla stagione dell’Ulivo di Prodi ed è stato capace di interpretarla da sindaco con entusiasmo». Lo stesso entusiasmo, ricorda Andreatta, della nascita del Partito democratico nel 2008: «Fu l’incontro di culture politiche diverse, gli ex Ds e l’ex Margherita. Quante volte ci siamo detti “finalmente insieme”, per noi è stato un sentirsi a casa, l’approdo naturale della sua storia nel Pci-Pds-Ds». Ci fu poi la «grande sintonia con Walter Veltroni», «una persona in cui Pacher si riconosceva, quando lasciò la segreteria del Pd perse un riferimento forte». Infine, ma non per importanza, le divisioni interne. «Tanti sostengono che sono una ricchezza - ragiona Andreatta - ma perché lo siano vanno ricondotte a una sintesi efficace. Oggi questa sintesi è faticosa. C’è bisogno di più coerenza e di più coraggio».
©RIPRODUZIONE RISERVATA