Nuovo redditometro, controlli a tappeto

Bort, De Laurentis e Mazzalai: verifiche necessarie, ma il sistema è troppo complesso e non risolve la grande evasione


di Giuliano Lott


TRENTO. Almeno a parole, nessuno teme i controlli del Fisco. Non gli artigiani, non i commercianti e nemmeno gli industriali. Ma poi tutte le categorie si trovano concordi che il nuovo redditometro non serve per combattere la grande evasione, che la pressione fiscale nel nostro paese è a livelli imbarazzanti (per un imprenditore sfiora il 70%) e che l’evasione fiscale è per molti «un modo di sopravvivere» (lo dice senza mezzi termini Roberto De Laurentis, di Assoartigiani). Intanto il nuovo sistema di controllo, che si applica ai redditi dichiarati dal 2009, è partito da meno di una settimana e a regime prevede 35 mila controlli l’anno. Tra i dati salienti del nuovo redditometro figura il controllo automatico per quelle posizioni in cui lo scarto tra reddito e spese supera il 20%, ma alla convocazione dell’Agenzia delle entrate il contribuente “sospetto” può spiegare con prove documentali il modo in cui certe spese sono state sostenute. Qualora i dati forniti non soddisfino il Fisco, si apre una seconda fase in cui il contribuente può anche addurre argomentazioni logiche, oltre che documentali, per contestare spese presunte. Solo dopo questo doppio contraddittorio si può aprire l’accertamento formale.

Gianni Bort (Unione commercio) assicura che alla sua categoria «non danno fastidio i controlli, le tasse vanno pagate. Discutiamo piuttosto il rapporto tra quantità di tasse e qualità dei servizi offerti dallo Stato, un rapporto che secondo noi è molto squilibrato. Il Fisco è diventato nel tempo sempre più oppressivo verso cittadini e imprenditori. Tutto rientra poi in una burocrazia che non possiamo nemmeno definire borbonica, per rispetto verso i Borboni, e che finirà per sfasciare il Paese». Bort non se la prende con gli strumenti di controllo in sé, «ma il carico fiscale non è solo troppo elevato, è eccessivo. Fa sorridere che il governo nazionale prometta di semplificare la burocrazia mentre aggrava il sistema con nuovi adempimenti». Tuttavia qualche novità positiva Bort la ravvisa. «Il doppio contraddittorio va bene, ma la sommatoria degli adempimenti ingessa l’Italia, mentre il debito pubblico è circa la metà del Pil e dell’altra metà, il 70% è prodotto da aziende pubbliche o parastatali, da Enel a Finmeccanica. Neanche negli ex paesi comunisti funziona così. Per di più molte di queste stesse grandi aziende pubbliche hanno le proprie sedi legali in paradisi fiscali, e nessuno dice nulla».

Roberto De Laurentis (Artigiani) focalizza il problema degli studi di settore. «Si basano su guadagni presunti e la loro interpretazione è lasciata alla discrezionalità e la buonsenso dell’Agenzia delle Entrate. Sui redditometri sono sempre stato critico, perché non si può stimare il reddito di una persona dall’auto che guida. Può essere l’unico “sfizio” di una persona che per lavoro viaggia molto, ma non per questo è un nababbo». Sui criteri del nuovo redditometro, De Laurentis ammette che «il controllo automatico per chi ha una differenza tra reddito e spesa del 20% ci può anche stare, ma questo sistema non colpisce comunque la grande evasione, quella che con qualche transazione diviene del tutto legale, mentre la pressione fiscale è ormai al 68,5%. Per anni è stato criminalizzato chi non batteva qualche scontrino, ma a volte l’evasione è un modo per sopravvivere in uno Stato che colpisce un imprenditore due volte: come azienda e come cittadino. la vera rivoluzione sarebbe abbassare le pressione fiscale». La ricetta di De Laurentis? Detassare le imprese per due anni «come fece Reagan negli Usa in piena crisi: vennero creati in breve tempo 12 milioni di posti di lavoro, abbattendo il deficit pubblico».

Il presidente di Assindustria Paolo Mazzalai osserva che «se il nuovo redditometro serve per recuperare gettito fiscale e abbattere l’evasione, è condivisibile. Ma si tratta di uno strumento programmato nel 2010, ci sono voluti tre anni. É evidente che i tempi della politica non sono quelli dell’economia. Inoltre è solo un correttivo, un affinamento di un sistema che c’era già. Complicatissimo e che fa perdere tempo al cittadino e all’imprenditore. Bisognerebbe semplificarlo, con una tassa unica: pagare meno e pagare tutti ». Ma la pressione fiscale, sottolinea Mazzalai, non è un alibi. «L’evasione non è mai giustificabile. Se c’è una norma, va osservata. Piuttosto andrebbe rivisto tutto il sistema di tassazione».

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