Marzatico: «Al museo volo tenendo i piedi per terra»

Il direttore del Castello del Buonconsiglio nominato “Trentino dell’anno” Iniziò alle medie portando carriole a Fiavé. «Il piacere di coinvolgere i visitatori»


di Luca Marognoli


TRENTO. Dopo le scuole medie chiese come premio il permesso di andare a portare carriole nel sito archeologico di Fiavé. Iniziò così la carriera tra selci e mummie di Franco Marzatico, 53 anni, oggi direttore del Castello del Buonconsiglio. Un museo che ha fatto crescere con iniziative di grande richiamo, dagli “Ori delle Alpi” all’ “Egitto mai visto”, fino ad attirare nelle sue quattro sedi (le altre tre sono i castelli Beseno, Stenico e Thun) 300 mila visitatori nel 2010 e 282 mila nel 2011. E proprio a “casa sua”, nella Sala Granda del Buonconsiglio, sabato alle 18 gli sarà consegnata la medaglia d’oro di “Trentino dell’anno”, riconoscimento promosso e organizzato dal gruppo culturale Uomo Città Territorio.

Marzatico, perché crede di essere stato scelto e come ha accolto la decisione del Comitato scientifico?

E’ un riconoscimento che mi fa grandissimo piacere e che va condiviso con chi quotidianamente con me percorre il cammino della ricerca e della valorizzazione culturale: dagli sponsor all’ente pubblico che ci sostiene. Il fatto di dover assumere decisioni e di gestire denaro pubblico mi carica di ulteriore responsabilità. Mantenendo il senso di relatività che insegna la scienza: l’archeologo deve tenere i piedi per terra ma anche volare alto per riuscire a vedere quello che c’è sotto terra. La visione analitica necessaria per datare un coccio deve associarsi alla capacità di mettere assieme le cose e selezionare i pezzi da esporre.

Nella motivazione si parla di “capacità di realizzare eventi di forte rigore scientifico ed impatto divulgativo”. Come si coniugano queste due sfere?

Bisogna superare la visione aulica dello studioso che si considera legittimato dall’alto della sua scienza: va recuperato il piacere di raccontare e coinvolgere. Nel mondo anglosassone si dice “popolarizzare”, cioè rendere gradevole anche il concetto difficile proponendo chiavi di lettura accattivanti ma non banali e rifuggendo le forme di narcisismo e l’autoreferenzialità del linguaggio scientifico. Il grande archeologo Carandini si chiede se l’archeologia serva alla contemporaneità, se sia possibile essere non un parassita delle rovine ma un essere di questo mondo. L’archeologia in fondo è lo studio di un “altro” molto distante da noi. La visione deve essere sempre orientata verso l’uomo.

Si sente un divulgatore alla Piero Angela?

Ho questa doppia anima: di docente in archeologia a contratto a Trento e di museografia archeologica a Padova. Perché le mostre piacciono di più del museo? Perché sono percepite come un prodotto per il “consumatore” che crede di trovarci degli strumenti più a portata di mano, gradevoli e divertenti. Il museo è visto da un lato come luogo della mummificazione, dall’altro come un luogo che nobilita perché contiene “pezzi da museo”. Il fine è questo: far parlare gli oggetti.

Castel Thun è stata una grande “scoperta” per il pubblico: quali altri gioielli nascosti del nostro patrimonio storico-architettonico le piacerebbe rendere fruibile?

Il desiderio, che si scontra però con le ristrettezze dell’economia, è di vedere un grande polo storico-umanistico attorno al Buonconsiglio, che comprenda l’ex questura, la fossa dei martiri e la Ca’ dei mercanti, in un percorso dedicato agli oltre 10 mila anni di storia del nostro territorio: dall’antichità al Risorgimento, fino all’autonomia.

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