Lunelli: «È tempo di far nascere il partito territoriale»

Dal capogruppo Upt appello al partito e agli alleati: «Serve coraggio. Mi piacerebbe ci fossero Pacher, Olivi, Rossi»


di Chiara Bert


TRENTO. «Un soggetto politico nuovo, aperto alla società civile, libero dalle ideologie, che metta l’autogoverno come punto fondante della sua identità». Giorgio Lunelli sceglie i giorni della crisi politica nazionale e dell’implosione del Pd per rilanciare il progetto di un «partito territoriale», tante volte accarezzato da Lorenzo Dellai: «Oggi non è più un’utopia». Il capogruppo Upt in consiglio provinciale lo fa rivolgendosi innanzitutto al suo partito, a cui chiede «un atto di coraggio», e poi agli alleati: il Pd in cui spirano forti i venti di scissione, e il Patt. «Mi auguro - dice - che persone come Pacher, Olivi e Rossi, ci siano». I piani - nazionale e locale - restano distinti, ma a 6 mesi dalle elezioni provinciali lo sviluppo del quadro politico a Roma, in particolare nel Pd, è destinato a pesare anche in Trentino.

Lunelli, partiamo dalla crisi di questi giorni. Cosa pensa di quanto accaduto e di quanto sta accadendo nel Pd? Pensa anche lei che il partito si spaccherà?

Non voglio intromettermi in casa d’altri. Io non faccio il tipo per l’implosione del Pd, sarebbe pericoloso per tutti. Faccio semmai il tifo perché dentro quel partito prevalga una sensibilità su un’altra. Quello che è successo nei giorni scorsi con l’elezione del presidente della Repubblica è gravissimo.

I partiti hanno dovuto implorare un presidente di 88 anni di restare al suo posto. Cos’ha portato a questa impasse, in primis del Pd?

La vera mina è stata teorizzare, da parte del Pd, un governo di minoranza. Il fallimento di Bersani nasce dall’idea che la rappresentanza parlamentare sia sufficiente. Ma come poteva immaginare di governare il Paese con il 30%? Oggi c’è un bisogno assoluto di un governo che faccia scelte e sintesi.

Un governo di larghe intese?

Sarà difficile che in queste condizioni qualcuno dica no a Napolitano. I partiti hanno affidato alla sua saggezza il senso di marcia, e hanno garantito semaforo verde alle scelte che il presidente riterrà più opportune.

Il Pd fa i conti con una larga fetta della sua base in rivolta contro l’ipotesi di un governo insieme a Berlusconi...

La democrazia rappresentativa richiede coraggio, a volte questo significa prendere decisioni controcorrente rispetto ai sentimenti della propria base. Invece qui il partito è stato messo prima del Paese, una logica leninista, neanche la Dc è arrivata a tanto. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti che il grande problema oggi è proprio la crisi della democrazia rappresentativa.

In che senso?

Io non riesco a pensare che le scelte vengano fatte da 50 mila persone che votano sul web: questa non è democrazia, non è neanche un campione demoscopico rappresentativo. Ma Per evitare questo i partiti non possono più arroccarsi in una logica tutta interna. È una considerazione che vale per tutti, anche per il mio partito.

Mancano 6 mesi alle provinciali e il centrosinistra non ha ancora un candidato presidente e un programma condiviso. Non siete in ritardo?

Io sono tra quelli che hanno sempre rilanciato il valore della coalizione. Ma c’è bisogno di un partito che se ne faccia carico. Dellai ha governato perchè prima la Margherita e poi l’Upt hanno saputo svolgere questo ruolo. Il Pd in questi mesi ha dimostrato di non avere questa vocazione. Questo non mi dà soddisfazione, anzi mi preoccupa molto. Per questo serve uno scatto.

In che direzione?

Penso che oggi il progetto di dare vita ad un forte partito territoriale non sia più un’utopia. Immagino un nuovo soggetto politico, scevro da ideologie, che abbia come primo punto l’autonomia, che metta da parte rendite di posizione e ambizioni personali, che si rapporti alla dimensione nazionale in maniera confederata.

A chi si rivolge questo progetto?

Il mio appello è innanzitutto al mio partito, l’Upt. Vorrei che già nei prossimi giorni fosse lanciato un ragionamento pubblico molto coraggioso, e che nel giro di poche settimane si possa aprire un cantiere politico aperto alle associazioni, i movimenti, le liste civiche.

E gli alleati? Questa proposta scommette su una spaccatura del Pd?

Io non scommetto su nulla. La mia è una proposta politica, e le proposte si accettano o si rifiutano. A me piacerebbe che persone impegnate nel Pd e nel Patt, penso a Pacher, Olivi, Rossi, che a suo tempo hanno auspicato a loro volta la creazione di una grande forza che metta al primo posto l’autogoverno, ne facciano parte.

Resta da risolvere il nodo della leadership.

È sbagliato che a 6 mesi dal voto tutto si concentri sui nomi e i meccanismi di selezione, quella è l’ultima cosa da fare. Una coalizione sta in piedi se è capace di concretizzare proposte.

Con quali priorità?

Autonomia al primo posto, dicevo. Che è la fatica dell’autogoverno, rischiare nelle scelte. Poi il tema della creazione di ricchezza e di lavoro, fare meglio con meno, e della distribuzione della ricchezza, con equità. I tradizionali blocchi sociali sono saltati e il ceto medio, quello che tiene in piedi l’autonomia, oggi è il più a rischio.

Sel potrà essere un alleato?

Credo che il problema non si ponga nemmeno, mi pare sia già stato risolto a Roma in questi giorni.

Il leader lo sceglierete con le primarie?

Io non demonizzo le primarie, ma mi rifiuto di pensare che i progetti politici debbano essere subalterni alla scelta del leader. E poi guardiamo al Friuli: Debora Serracchiani non è stata scelta con le primarie.

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