Licenziati i bigliettai accusati di peculato
Avrebbero fatto copie di ticket per il treno rivendendole ai passeggeri. Trentino Trasporti ha deciso di mandarli a casa
TRENTO. Sono stati licenziati da Trentino Trasporti i quattro dipendenti accusati di peculato. L'episodio risale al novembre dello scorso anno quanto i quattro addetti alla biglietteria furono accusati di vendere le copie dei biglietti, trattenendosi il ricavato. Sarebbe successo che al momento della stampa del ticket, l'originale andava all'utente, mentre la copia sarebbe dovuta restare a disposizione della cassa per i controlli amministrativi. Erano questi i tagliandi che i dipendenti avrebbero rivenduto per un giro d'affari di qualche migliaia di euro. Chi aveva ricavato di più lo ha fatto rivendendo 594 copie di biglietti per un totale di 2.305 euro. Per gli altri la contestazione riguarda meno di cinquanta ticket a testa introiti inferiori ai 250 euro. Insomma una bravata che è costata molto cara, perché indipendentemente dalla somma illecitamente ricavata, è impossibile non parlare di peculato. Resa nota l'ipotesi di reato, Trentino Trasporti non li licenziò, col direttore Alocca a motivare la scelta con una regolamentazione disciplinare interna, che prevedeva il licenziamento solo dopo l'avvenuta condanna definitiva. Ma l'orientamento non fu lo stesso nel caso di un altro dipendente, Paolo Serafini, licenziato pur essendo «solo» accusato di calunnia nei confronti del ministro Kyenge e non condannato. Due pesi e due misure che avevano fatto discutere. Ma adesso ad equiparare le diverse posizioni, arriva il provvedimento di Trentino Trasporti che licenzia con affetto immediato, anche i dipendenti accusati di peculato che nel frattempo hanno regolarmente ricevuto lo stipendio. Ad alzare i toni della polemica fu, dopo il licenziamento, Paolo Serafini che ora spiega: «Nessuno fa “salti di gioia” di fronte a un licenziamento che resta, comunque un fallimento sociale. Se penalmente il soggetto deve rispondere e pagare quanto gli viene decretato da un tribunale, dal punto di visto lavorativo ci dovrebbero essere delle alternative che non penalizzino ulteriormente la dignità di una persona. Come l’inserimento in una mansione diversa all’interno dell’azienda con l’obbligo di un percorso di impegno socialmente utile all’interno di qualche associazione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA