La maxitruffa dei diamanti fantasma

Svaniti 12 milioni di euro. Raggirati trecento risparmiatori. Avevano acquistato quote di società sperando in guadagni facili


di Ubaldo Cordellini ; di Ubaldo Cordellini


TRENTO. Dodici milioni di euro volatilizzati. Oltre trecento risparmiatori truffati. E tutto con il miraggio di interessi vantaggiosi, intorno al 10 per cento, grazie al business delle miniere di diamanti. Peccato che le miniere non esistessero e che i diamanti ci fossero solo in fotografia. Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Trento, coordinato dal generale Francesco Attardi, ha scoperto una maxitruffa che ha colpito centinaia di investitori trentini. Il pubblico ministero Giuseppe De Benedetto ha diretto l’inchiesta e nei giorni scorsi ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini a nove indagati. Inizialmente, la Finanza aveva denunciato 11 persone, ma due posizioni sono state archiviate. Al centro della truffa c’era una finanziaria con sede a San Michele all’Adige.

Le accuse. Gli indagati sono amministratori, soci e broker di cinque società finanziarie. I reati ipotizzati sono quelli di associazione a delinquere e truffa. Gli indagati proponevano investimenti dagli alti interessi. I risparmiatori, allettati dai facili guadagni, hanno investito somme che in alcuni casi hanno superato il mezzo milione di euro. In molti casi i risparmi di un’intera vita. Le indagini sono state avviate dopo un’ispezione antiriciclaggio. Secondo quanto accertato dagli investigatori, una finanziaria trentina proponeva al pubblico l’acquisto di azioni di quattro società operanti nel settore dell’intermediazione in cambi, della produzione e commercializzazione di topicidi, delle comunicazioni radio-televisive e dell’estrazione mineraria in Africa. In realtà, secondo l’accusa, si sarebbe trattato di una sorta di catena di Sant’Antonio. Una specie di truffa piramidale dove gli interessi venivano pagati con il capitale investito dai nuovi clienti. Le società si sarebbero in realtà finanziate con il denaro degli investitori senza ricorrere ai regolari canali del credito bancario.

Per gli investitori è stata garantita una iniziale rendita solo fino a quando la continua liquidità, derivante dalla sottoscrizione di azioni da parte di nuovi risparmiatori, ha garantito un afflusso di denaro. Poi i soldi investiti sono spariti. Ai risparmiatori veniva detto che i capitali investiti avrebbero prodotto interessi elevati e proporzionalmente crescenti, fino anche al 10% netto, in relazione al numero di anni di immobilizzo del capitale.

In alcuni casi, si arrivava all’assurdo. Addirittura i broker della banda vendevano un piano di investimento che si chiamava «Stai sereno», colmo dell’ironia. Il piano prevedeva una rendita mensile. In cambio della rendita, però, l’investitore si impegnava a pagare una penale pari al 40% del percepito in caso di recesso anticipato. Penale che in realtà serviva ad evitare che i risparmiatori ritirassero gli investimenti. Per convincere i potenziali acquirenti della bontà dell’investimento, i broker si avvalevano di brochure pubblicitarie che illustravano le attività delle società. In particolare, tra queste vi era anche quella legata allo sfruttamento di una miniera di oro e diamanti nella Repubblica Centroafricana, la cui estrazione avrebbe garantito ai loro investimenti guadagni da capogiro. In realtà era tutta una bufala. Le società disponevano solo di diritti di carotaggio e di licenze di prospezione aurifera e diamantifera del sottosuolo, senza di fatto essere proprietarie di alcuna miniera.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano