La lenta agonia dei ghiacciai alpini

Il Muse coinvolge gli amanti della montagna chiamati a inviare delle foto comparative: il confronto è impietoso


di Maddalena Di Tolla


TRENTO. Coinvolgere i cittadini e soprattutto i frequentatori a vario titolo delle alte quote, attraverso un'appassionante caccia fotografica comparativa, nel monitoraggio scientifico dei ghiacciai in ritiro, e riuscirci. E con questo avvicinare il grande pubblico al senso di responsabilità verso il cambiamento epocale delle alte quote nelle Alpi.

In sintesi questo è accaduto all'originale progetto “Ghiacciai di una volta”, pensato e curato dal Muse, nella persona del glaciologo Christian Casarotto. Sono state inviate 173 fotografie di 70 autori diversi. Il maggior numero di scatti (60) sono stati realizzati in Trentino e il ghiacciaio più fotografato è stato quello dell’Adamello – Mandrone (21 scatti). Ieri mattina al Muse sono stati presentati i risultati, alla presenza di vari esperti (che si sono confrontati poi in una tavola rotonda) da Trentino-Alto Adige, Veneto, Lombardia e Val d'Aosta, accomunate dal fenomeno del ritiro glaciale. È intervenuto anche il noto glaciologo Claudio Smiraglia, del Comitato Glaciologico italiano e Professore all'Università di Milano, già allievo di Ardito Desio e membro del comitato Scientifico del Progetto.

Con il contributo di Fabiano Ventura, fotografo di montagna che coniuga la comparazione fotografica e la ricerca scientifica, sono stati selezionati i migliori confronti fotografici e, da questi, il Comitato Scientifico ha condotto le valutazioni relative al ritiro glaciale e alle modificazioni del paesaggio che emergevano a seguito del confronto.

I confronti fotografici confermano l'accelerazione del forte regresso che il glacialismo alpino vive ormai in maniera quasi continuativa da 30 anni: ghiacciai che si frammentano in apparati più piccoli, ponendo anche problemi di toponomastica, isole rocciose che emergono, copertura detritica sempre più estesa (ghiacciai neri e non più bianchi), limite della vegetazione che sale di quota colonizzando nuove aree, percorsi alpinistici tradizionali che con il variare dell’estensione glaciale devono variare, per evitare nuove pericolose crepacciate o aree detritiche instabili, sono gli elementi che emergono dal confronto. La montagna sta rapidamente cambiando. Questo cambiamento pone anche nuovi pericoli e un problema giuridico: chi ha la responsabilità di porre in sicurezza tutti i vari passaggi delle alte vie, come le tante passerelle sui torrenti e i disseminati pezzi di vie ferrate e simili? I rifugisti? Le ammnistrazioni comunali o quelle centrali? I Club Alpini?

Citiamo il caso emblematico, per il Trentino, del ghiacciaio de La Mare. Il confronto fra la foto storica disponibile (del 1985 di Secchieri) e quella scattata per il progetto, del 2012 da Nicola Dalla Mora, mostra la perdita di tutta la massa glaciale a sinistra della lingua principale (a destra nella foto). Si calcola un arretramento di 770 metri e che la posizione del fronte sia salita di 270 metri ogni anno. Adesso si vorrebbe supportare la rete nata dal progetto per studiare iniziative di sensibilizzazione e soluzioni ai problemi sorti.

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