L’occhio di Fiorini racconta in 500 foto la città che cambia
All’Urban center la mostra deI fotografo roveretano che ripercorre 27 anni di storia. E presenta il suo nuovo libro
ROVERETO. Banalizzando, si potrebbe dire che sono 27 anni di storia di Rovereto. Ma sarebbe in parte sbagliato per eccesso e in parte sbagliato per difetto. Nella mostra di fotografie che sarà inaugurata mercoledì alle 18 all’Urban Center e nel libro che uscirà lo stesso giorno, Fulvio Fiorini ha messo 27 anni della propria vita. Vita da fotografo cronista, senza dubbio, e quindi 27 anni di fatti, momenti, protagonisti. Ma filtrati due volte, come è inevitabile che sia. La prima con la lente deformante della “cronaca“, quella che distingue tra “fatti“ e , curandosi solo di quello ritiene possa interessare al “lettore“. Ma non basta. Di ogni singolo evento notizia il fotografo ha colto quei particolari che diventavano più significativi ai propri occhi. E quindi, alla fine, ha applicato anche una seconda lente deformante: quella del proprio sentire.
Per questo dire “storia“ è troppo e troppo poco. Della storia la cronaca non ha né le completezza né quell’equilibrio, quella elaborazione e misura, che solo il distacco temporale e la collocazione in un contesto più ampio, fatto non solo di “prima“ ma anche di “dopo“ permette di avere.
Ma il lavoro di un fotocronista include anche qualcosa in più di quello dello storico. Il filtro della notizia dice molto di come eravamo, come lettori e quindi come cittadini, nei momenti storici in cui quelle foto sono state scattate. Il filtro dell’autore poi, ci racconta di lui, di come ha vissuto quei fatti e di come ad essi ha reagito anche emotivamente. Perché una fotografia, come un articolo di giornale, dice spesso di chi l’ha scattato o lo ha scritto più di quanto lo stesso autore pensi, o desideri.
Fulvio Fiorini ha 56 anni. Roveretano di San Giorgio, a San Giorgio ha iniziato sedicenne la propria vita lavorativa. Operaio alla Elv, una piccola industria metalmeccanica. Era il 1972 quando ci era entrato, ed allora “essere operaio“ significava molto più di una mansione. Aveva lasciato gli studi (geometra al Fontana) scegliendo la fabbrica. Già fotografo per hobby, l’incontro col giornalismo sarebbe arrivato 13 anni dopo, nel 1985. Prima per il Gazzettino, per due anni, poi per qualche mese all’Adige e alla fine, dal 1987, per l’Alto Adige, poi diventato Trentino. Testata per la quale ha lavorato, sempre a Rovereto, fino all’inizio di quest’anno.
A riguardarli oggi, questi 27 anni da foto cronista, sono un archivio di 85 mila immagini. Molte di semplice resoconto, a volte anche banale: la quotidianità del mestiere. Ma molte interessanti anche oggi, ancora in grado di far balenare un ricordo e un’emozione. Per fatti che in quel momento erano stati cronaca ma poi sarebbero diventati storia, ma anche per persone, modi di essere, di vivere e di pensare. Che hanno segnato i momenti di quel percorso collettivo che è la vita di una comunità. E che oggi ogni roveretano può ritrovare e capire. Scatti che parlano di altri ma anche di ognuno di noi, di come eravamo ma anche di come siamo oggi.
Da quegli 85 mila scatti, Fiorini ne ha selezionati 500 per il libro edito da Osiride. Donata Loss ha compiuto il lavoro di ricerca necessario per dotare ogni immagine di didascalie che rendano conto al roveretano di oggi del senso di quella fotografia allora. La mostra propone una ulteriore selezione: 100 di quelle foto, stampate in formato 50 per 70. Non c’è stato un criterio ufficiale di selezione – spiega Fiorini – ma ha proceduto per scremature successive. Con un drastico filtraggio che diventa una rilettura ulteriore, con gli occhi stavolta del Fulvio Fiorini di oggi. Il risultato è un mix eterogeneo fino alla provocatorietà.
Ad aprire il libro c’è la foto di Kazuo Ohno, nel 1985 a Teatro Zandonai per Oriente Occidente. Ma dentro ci sono anche il sorriso ammiccante di Giobatta Maranelli e quello disarmante di Luigi Bonazza. E ci sono volti di anziani e di giovani, di personalità e di sconosciuti: le “maschere“, conosciutissime o ignote, della città che Fulvio Fiorini ha raccontato. Ci sono drammi e feste, eventi, momenti. C’è l’ultima assemblea della Grundig e c’è la chiusura della bottiglieria Sisler, con Mario a versare l’ultimo bicchiere. C’è il cinema Roma e ci sono le auto parcheggiate in piazza delle Erbe, attorno alla fontana. «E’ un mix tra un omaggio alla gente e un omaggio alla città – spiega Fulvio Fiorini – visti con gli occhi di un fotocronista». E’ anche il saluto personale di un professionista e di un uomo ad un mondo, quella della cronaca e del giornalismo, nel quale non si riconosce più. «Con questa mostra chiudo 27 anni di cronaca e chiudo con la cronaca. Basta, non mi piace più. E’ cambiato il giornalismo e sono cambiati i giornalisti, è cambiata la città. E’ diventato un mestiere che cancella la vita privata e ti annulla come persona. Non è più il mio».
In futuro? Tornerà a fare l’operaio, 27 anni dopo. Come si dice, si sta guardando intorno. A 16 anni nel 1972 scegliere la fabbrica aveva un senso, oggi e a 56 anni probabilmente ne ha uno diverso. Ma un senso ce l’ha.
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