Ioppi: «Gli ospedali trentini sono diventati degli ambulatori»
Il presidente dei medici: «In queste condizioni non garantiamo la sicurezza. Colleghi terrorizzati, se si togliessero il camice li capirei»
TRENTO. «No, davvero non pensavo possibile che in Trentino si arrivasse a questo. Oggi bisogna avere il coraggio di dire che ospedali che funzionano 8 ore al giorno 5 giorni su 7 non sono più ospedali, ma ambulatori. E se in queste condizioni un medico di pronto soccorso decidesse di togliersi i guanti e starsene a casa, io lo capirei». Così parla il presidente dell’Ordine dei medici Marco Ioppi, che è stato primario di ostetricia e ginecologia a Rovereto e direttore del dipartimento materno-infantile dell'Azienda sanitaria, dal 2011 al 2013 responsabile del reparto di ostetricia di Tione, il punto nascita periferico più a rischio, dove i parti sono meno di 140 all’anno (116 finora nel 2015).
Dottor Ioppi, il governatore Ugo Rossi ha invitato chi ha ruoli istituzionali a non avere posizioni ideologiche e a non creare disaffezione nei servizi sanitari. Si sente coinvolto da questo appello?
Guardi, io come medico mi sento responsabile se sono sincero, perché poi siamo noi medici a finire sul banco degli imputati quando le cose vanno male. La salute è il bene più prezioso che abbiamo, non è una spesa ma un investimento. Ma oggi con responsabilità non si può dire che dopo questo riassetto tutto è uguale a prima. Capisco le difficoltà enormi, ma un politico deve avere l’onestà e l’umiltà di dire “siamo stati travolti e non possiamo più garantire quello che ieri avevamo promesso”. Altrimenti si ingannano i cittadini, e ancora più grave è che si ingannano i cittadini più deboli.
Dove sta l’inganno?
Siamo arrivati a un punto paradossale. Su una popolazione di 500 mila abitanti del Trentino, ce ne sono circa 300 mila a cui, seppur per un periodo limitato si dice, offriamo un servizio sanitario precario. Ospedali di periferia che non sono più ospedali ma ambulatori, perché mancano figure di riferimento per fronteggiare situazioni di rischio. Quando mancano gli anestesisti e i ginecologi, resta un medico di pronto soccorso ad assumersi tutta la responsabilità. E oggi nei Pronto soccorso abbiamo medici terrorizzati. Se si togliessero il camice io li capirei. Non aspettiamo il morto, dobbiamo guardare in faccia la realtà.
Provincia e Azienda sanitaria ribattono che la riorganizzazione prevede un sistema di trasferimenti negli ospedali centrali dei casi più gravi nella fascia notturna. Cosa non funziona?
Non si può puntare tutto sull’elisoccorso, anche perché i codici rossi aumenteranno proprio perché manca il personale per gestire certe situazioni gravi negli ospedali periferici, perché non c’è una sala operatoria funzionante e perché ci saranno partorienti che necessitano di essere trasferite. E quando l’elicottero non può alzarsi in volo? Gli amministratori fanno i loro bei disegni ma non si confrontano mai con i medici. Qualche proposta più credibile l’avremmo avuta.
Cosa propone?
Innanzitutto non bisognava bloccare il turn over del personale. Il servizio sanitario è stato garantito fin qui dal senso di responsabilità degli operatori. Un anno fa si gridava contro i medici strapagati, dimenticando che l’aggiunta di stipendio era per il lavoro in più che andava a supplire a mancanze gestionali. E lo dico chiaramente: abbiamo sbagliato anche noi ad accettare questo. Piuttosto che togliere qualcosa e fare scelte impopolari, la politica ha preferito lasciare una parvenza di qualità, per non perdere voti. Ma se non posso avere un servizio ospedaliero di qualità, è meglio chiuderlo.
Una decisione forte.
Per un periodo di tempo è più serio concentrare tutto su Trento, Rovereto e Cles. Se succede qualcosa di notte, non possiamo caricare sui medici la responsabilità di fare gli anestesisti, i ginecologi, i neonatologi. Io sono stato in un ospedale di periferia, l’ho vissuto. So cosa vuol dire se nasce un bambino prima del termine e bisogna attaccarsi al telefono per trovare un posto libero in neonatologia. È drammatico. Ma può esserlo anche per un ictus, un infarto, un’emorragia grave. Quando l’ambulanza non basta e allora devi sperare che l’elicottero sia libero.
Si torna ai punti nascita. La giunta va avanti, chiederà le deroghe. Cosa pensa?
Che gli standard di sicurezza non sono stati messi a caso e che dobbiamo offrire servizi non dettati da esigenze localistiche e di consenso. Non possiamo proporre una qualità al ribasso, ma un modello che sia di esempio, valutando costi e benefici. Un bambino che nasce con dei danni è un danno incalcolabile non solo per la sua famiglia. Vent’anni fa era giusto affidarsi a un’organizzazione che puntasse sulla rete, con interventi anche estremi. Oggi si è alzato il livello di complessità, le richieste dei pazienti sono aumentate, la risposta che ci si aspetta è un’altra.
Per trovare medici disposti a lavorare negli ospedali di valle l’Azienda emanerà bandi ospedale per ospedale. Basterà?
La difficoltà c’è sempre stata ed è comprensibile: in un piccolo ospedale c’è poca casistica e si è isolati anche culturalmente. Ricordo che dovevamo fare 2-3 concorsi all’anno perché c’erano medici che appena trovavano posto altrove se ne andavano. Mancano medici per via del numero chiuso, le borse di studio all’Università di Verona sono insufficienti rispetto alle nostre necessità e dobbiamo importare specialisti, ma per noi è difficile essere competitivi. Il timore è che nelle valli finiscano i medici meno bravi, e dovremo tenerceli perché ne abbiamo bisogno. E badi, non è una questione di provenienza geografica. I medici competenti crescono e giustamente ambiscono ad altro. Un medico che fa domanda solo per Tione e vuole restare lì mi fa pensare molto.
Come se ne esce?
Con un bando di concorso unico per l’Azienda, un po’ di creatività e incentivi per chi va in periferia: per esempio si preveda che un medico che sta 3 giorni a Cavalese, altri 4 li passa a Trento.
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