Infanticidio di Cognola, Francesca Bolzoni: «Non volevo che lo vedessero»
Davanti al pm la donna ribabisce: "Il bimbo era nato morto"
TRENTO. I capelli raccolti in una coda di cavallo, maglione marrone, pantaloni grigi e scarponcini bassi neri. Così alle 15.05 di ieri, Francesca Bolzoni Giovannoni, si è presentata alla porta del sostituto procuratore Marco Gallina. Un nuovo interrogatorio, il terzo per la donna accusata di aver ucciso il figlio appena messo al mondo nel giugno scorso, per ripercorrere un'altra volta i fatti e durante il quale la maestra d'asilo ha ribadito di aver «percepito» come morto il neonato. La donna ha quindi ribadito che il parto, avvenuto improvvisamente e in anticipo rispetto alla possibile data, ha portato alla nascita di un bambino moto. È stato solo in un secondo momento, che Francesca si è resa conto che forse il neonato era in vita. Assieme al suo nuovo legale, Giovanni Rambaldi, la donna ha ripercorso anche i momenti successivi a quelli del parto. Una volta tornata a tavola, ha spiegato, gli altri invitati hanno iniziato a dire che sentivano dei rumori, come dei miagolii di un gattino. Solo in quel momento Francesca Bolzoni Giovannoni ha pensato che forse il neonato era ancora in vita. E così è corsa verso il fagottino e lo ha stretto a sé perché - ha spiegato ieri - «non voleva che qualcuno lo vedesse». Su quello che è successo in seguito, la procura ha assunto i resoconti del padre Enzo e del medico di famiglia Vincenzo Mauro, entrambi indagati. Un interrogatorio che viene definito coerente e che ha permesso di mettere alcuni tasselli mancati nel racconto di quella serata di fine giugno. Un interrogatorio nel quale Francesca non ha comunque cambiato versione. Lei sapeva di aspettare un bambino solo da un mese quando ormai era arrivata alla 24esima settimana. E non lo aveva ancora detto alla famiglia perché non sapeva come raccontare di questa maternità che aveva sorpreso lei stessa. Probabilmente è stato questo segreto unito al fatto che il parto sia avvenuto così presto, con lei probabilmente impreparata ad affrontarlo, che le hanno fatto avere le reazioni che ha avuto. Che le hanno impedito di chiedere aiuto (lei ha sempre raccontato di questo grido che le si è bloccato in gola), di chiamare il 118 e quindi, di non trovarsi ora in carcere a Verona dove è destinata a trascorrere il Natale. Sembra che la difesa sia orientata a sottoporla ad una perizia con un consulente per chiarire ulteriormente lo stato d'animo della donna in quel momento. Potrebbe anche essere possibile che si punti sull'imputazione di infanticidio e non di omicidio. Nel primo caso, infatti, le pene sono inferiori. Quello che pare chiaro, e che la donna ha ribadito anche oggi, è che lei non ha fatto nessun gesto per uccidere il bambino appena messo al mondo. Il suo comportamento potrebbe esser stato, invece, omissivo, per non aver prestato le cure necessarie.
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