Il dramma dei migranti: «Io, in fuga con la morte accanto»
La drammatica storia di uno dei profughi accolti dal Trentino
TRENTO. Ha visto la morte in faccia. «Ho scelto di rischiare la vita per poter vivere», dice mentre rigira una penna tra le mani e i suoi occhi guardano un mondo nuovo. Che sarà la sua nuova casa. Gli amici lo chiamano Staisc che in dialetto tunisino significa "piccolino" ed è uno dei dieci profughi arrivati con il primo viaggio da Caserta e oggi ospitati dal Cinformi in attesa della regolarizzazione dei documenti. Quattro hanno già trovato ospitalità da amici e parenti, sei stanno decidendo cosa fare. Staisc resterà in Trentino. Tunisia e Libia. Casa sua ce l'ha nel cuore. «Ho dovuto andarmene per carcare lavoro - dice - ma è ovvio che in Tunisia se le cose si mettessero bene ci tornerei subito. Usciamo da 23 anni di schiavitù, non c'era democrazia. Poi con la rivoluzione qualcosa sta cambiando. Ma è ancora difficile trovare lavoro, soprattutto per me che non ho un diploma». Da qua nasce la sua prima fuga. Ha lasciato mamma e papà ed ha varcato il confine con la Libia. «Molti stranieri andavano di là. Bastava pagare qualcosa alle guardie di confine e si entrava in Libia, terra ricca dove il lavoro non mancava. Facevano solo storie per chi era troppo giovane. Questioni politiche, forse. Non so. Ho fatto il cameriere e il cuoco. Problemi? No, nessuno. In Libia gli stranieri sono moltissimi, tunisini ed egiziani soprattutto. Solo quando sono cominciate le rivoluzioni eravamo guardati con molta invidia: noi eravamo riusciti a cambiare il governo, loro no. Poi anche lì è scoppiato il caos. Nel giro di tre giorni ho preso le mie cose e sono tornato in Tunisia. Avevo capito subito che si sarebbe messa molto male». La seconda fuga. Ma tornato a casa Staisc si ritrovò con lo stesso problema. «E' stato un mio parente a dirmi: andiamo in Italia, lì c'è lavoro. Non avevo scelta, gli ho detto di sì. Abbiamo cercato qualcuno che ci potesse far attraversare il mare e l'abbiamo trovato. Ho pagato mille dinari, più o meno 500 euro. Il tizio ha comprato una barca e ci ha dato appuntamento una notte. I controlli? Sì ci sono, ma sono fatti dell'esercito. La polizia, praticamente, non c'è più. Però siamo partiti di notte proprio per evitare eventuali pattugliamenti costieri». La traversata. All'appuntamento si sono presentati in 48. Il mare era calmo, per fortuna. Ma non le ginocchia, che tremavano. «Sì avevo paura. Paura di morire su quella barca. Ma mi sono detto: se voglio vivere devo rischiare la vita. Non avevo scelta. Eravamo in 48 pigiati su uno scafo di medie dimensioni. Avevamo acqua, pane e latte per un'attraversata che avrebbe dovuto durare 23 ore, ma invece è durata 51. A metà si è rotta la pompa e abbiamo cominciato ad imbarcare acqua. Abbiamo lavorato con i secchi per tutta la notte». Lo sbarco. A meno di mezzo chilometro dalla costa, al largo di Lampedusa, la barca viene individuata dalla guardia costiera italiana che ha affiancato la precaria imbarcazione tunisina e l'ha scortata al molo. «Siamo sbarcati e ho subito ringraziato Dio. Ho temuto di non arrivare, di finire in fondo al mare con quella bagnarola che imbarcava acqua. Più ne buttavamo fuori con i secchi, più ne entrava. Un incubo. A Lampedusa ci siamo fermati dieci giorni, non avevamo nemmeno il posto per dormire. Poi a Napoli. Lì l'unica cosa positiva erano le tre sigarette al giorno che ci davano. Per il resto non siamo stati trattati bene. Voglia di fuggire? No, non voglio fare il clandestino. Voglio ottenere documenti legali e lavorare. Per me e per aiutare la mia famiglia». Il Trentino. La destinazione finale è stata una sorpresa. «No, non ci hanno detto a quale regione eravamo destinati. Un mio compagno di viaggio mi aveva offerto di andare in Francia, da parenti suoi. Ci stavo facendo un pensiero, quando ho visto il Trentino e l'accoglienza che ci è stata riservata. Grazie, grazie e ancora grazie». Da un cuoco arrivano anche i complimenti per la cucina. Quando gli si chiede come ha mangiato a Lampedusa o a Caserta, si informa subito se il confronto lo deve fare col Trentino. «Allora non c'è paragone». Alla mensa dei Nuvola allestita al campo della protezione civile di Marco ha voluto mettere il naso, con curiosità "professionale". «Sì, certo, mi piacerebbe fare il cuoco, ma qualsiasi lavoro mi sta bene. Ora il Cinformi ci sta dando una mano per trovare qualcosa. Ho fiducia e speranza. Lavorare qui e imparare l'italiano sono le cose principali. La Tunisia? Ci voglio tornare e spero che le novità politiche portino del bene al mio Paese. Io non sono scappato per odio. Ma sono convinto che posso aiutare anche da qua».
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