Il Dalai Lama: «La sorgente della felicità è il buon cuore»
Iniziata la giornata trentina di Tenzin Gyatso: serve una nuova etica umana, per superare la visione materialista. Nel pomeriggio in migliaia al PalaTrento
TRENTO. Ha parlato di felicità, una felicità che dobbiamo coltivare in noi stessi, nel nostro cuore, ma che si deve esprimere nel rapporto con gli altri, nel nostro prenderci cura degli altri, il Dalai Lama, nel corso dell’incontro tenutosi al Palazzo della Provincia. La cronaca ha fatto la sua comparsa con domande sulla situazione del Tibet, dove più di un centinaio di persone si sono immolate con il fuoco per protestare contro l'occupazione cinese, e sulla democrazia italiana. "So che avete avuto qualche problema con le ultime elezioni - ha detto a questo proposito il Dalai Lama - che non hanno espresso un esito chiaro. Queste cose possono succedere, ma la democrazia rimane il migliore sistema politico possibile."
Cordiale e di buon umore, come tutti i trentini lo ricordavano, del resto, Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama, classe 1935, ha parlato della felicità come di uno stato che nasce dalla relazione. Fra ciascun essere umano e tutti gli altri, perché "la mia felicità è la tua felicità", e perché, conformemente al concetto buddista di interdipendenza, ogni cosa va vista in relazione ad un'altra, come le dita della mano. Allo stesso modo, la nostra felicità influenza il nostro prossimo, e per capirlo basta osservare i gatti, ha detto il premio Nobel per la pace 1989: "Se il mio gatto mi vede bendisposto lo percepisce, mi si avvicina, desidera la mia compagnia, viceversa, si tiene a distanza. E così è anche per i rapporti fra gli esseri umani".
La sorgente della felicità, quindi, è in definitiva il buon cuore, e per coltivarla bisogna aprirsi innanzitutto agli altri e avere cura di loro, "o quantomeno non nuocere loro."
Una verità che, secondo il Dalai Lama, nota anche ai cinesi, che occupano il Tibet dal 1950 (il Dalai Lama ha lasciato la sua terra nel 1959 dopo la repressione dei modi indipendentisti seguiti all'invasione da parte delle truppe di Mao). Riguardo alle autoimmolazioni che si susseguono nel suo Paese, il Dalai Lama ha riconosciuto di potere fare poco, non potendo visitarlo fisicamente (un suo ritorno in patria è a tutt'oggi una delle principali richieste del popolo tibetano, assieme ad un'autonomia per il Tibet); tuttavia, "anche Deng Xiao Ping aveva riconosciuto che un problema come quello del Tibet non si può risolvere solo ricorrendo alla forza", ha aggiunto. L'auspicio è quindi che la nuova dirigenza cinese accetti finalmente di dialogare con il governo tibetano in esilio, e che possa nascere "da dentro" una soluzione un conflitto che, pur se a fasi alterne, si trascina da ormai una settantina di anni.
Ma in questa sua quarta visita in Trentino il Dalai Lama, che dal 2009, anno della sua ultima venuta in regione, ha abbandonato ogni carica politica, sembra soprattutto concentrato sugli aspetti di natura spirituale. A prescindere da ogni sistema religioso, però. Il suo auspicio, anche per quanto riguarda il tema dell'educazione, è piuttosto che si consolidi una nuova "etica umana", un sistema di valori che tenga conto del buon senso comune e dell'esperienza ma anche delle scoperte scientifiche e che ci aiuti a superare la visione meramente materialista oggi imperante.
Nel pomeriggio sono state migliaia le persone che hanno assiepato il PalaTrento per assistere al suo discorso. «Lo dicono studi scientifici e medici: praticare la compassione e la meditazione, come fanno i buddisti, rafforza il sistema immunitario e riduce lo stress. Negli Stati Uniti, tempo fa - ha aggiunto - hanno addestrato un gruppo di persone alla pratica dell’empatia con gli altri e a pratiche di preghiera meditativa. Alla fine della sperimentazione è stato verificato che i valori fisiologici e l’umore delle persone erano nettamente migliorati. Anche se non si è buddisti si può praticare la compassione, diventare felici e vedere che l’ambiente intorno a noi cambia di conseguenza». Ad ascoltarlo un pubblico variegato: dai praticanti del buddismo tibetano - sono alcune centinaia in Trentino - vestiti con il tradizionale saio rosso scuro e giallo, con i capelli rasati, tra cui anche donne, a famiglie con bambini. Moltissimi i giovani di tutte le età: adolescenti e studenti universitari, ma anche politici e cittadini seduti uno accanto all’altro, proprio a simbolizzare l’ideale buddista di fratellanza tra gli esseri umani.