Don Lauro, pastore a fianco degli ultimi
L’abbraccio di Trento al nuovo vescovo: ieri l’ordinazione in cattedrale. Monsignor Tisi: «Se sbaglio, rimproveratemi»
TRENTO. «Mi insegnerete voi», dice ai giovani che lo accolgono nel giardino dell’arcivescovado in piazza Fiera, «perché se avrò capito voi, avrò le chiavi per capire anche gli adulti». Don Lauro Tisi è ancora per tutti don Lauro (e forse per molti lo resterà) quando esce dal giardino e si incammina verso la cerimonia che lo ordinerà nuovo vescovo di Trento, il 122° successore di San Vigilio, pastore della Chiesa trentina. E del pastore ha tanti tratti, monsignor Tisi: parla e sorride, con il suo sorriso largo da curato di campagna, il vocione, la schiettezza semplice di chi viene da un piccolo Comune, Giustino, di una valle lontana. Quel bambino che a sei anni perse il papà in un incidente di caccia, e oggi è stato chiamato da Papa Francesco a guidare la sua comunità di fedeli in tempi inquieti.
Lui cammina a passo veloce, il passo dei montanari della sua Rendena, e intanto canta con i ragazzi che lo accompagnano con le chitarre, «Emmanuel», «sotto la sua croce, cantando ad una voce». Confesserà a fine giornata: «Ero nel mio appartamento pieno di paura, poi ho visto i giovani e mi sono sciolto, mi sono sentito sostenuto».
Ha preso coraggio, e si è incamminato verso quella lunga cerimonia che in cuor suo un po’ temeva. In via San Vigilio il corteo, in anticipo sui tempi del cerimoniale, si ferma per una pausa, e per il nuovo vescovo è il primo bagno di folla: la gente è venuta perché lo conosce, «Ciao don Lauro, ti ricordi?», e lui - emozionato - stringe mani, abbraccia e ringrazia. “Ne veden dopo”, è il saluto che ripete. Una mamma chiede una foto con le sue bambine, lui accetta, piccola concessione allo spirito dei tempi che impone di immortalare tutto con il telefonino.
Poi l’arrivo in piazza Duomo, le campane lo accolgono suonando a festa. Ad attenderlo 1500 persone in cattedrale, almeno un migliaio fuori, età media alta. La Curia ha chiesto un allestimento dal basso profilo, lo stile di Bergoglio contagia anche le Diocesi di periferia. Autorità schierate in prima fila, molta Upt, il consigliere del Pd Mattia Civico, l’ex consigliere Claudio Eccher, l’ex senatore Renzo Gubert. Il sindaco Alessandro Andreatta saluta don Tisi dicendogli che «sarà un bel camminare insieme, nella doverosa distinzione dei ruoli, per costruire una comunità coesa e matura, e per includere e prendersi cura dei più fragili».
Il governatore Ugo Rossi - nelle ore in cui ci sono da gestire la rivolta dei profughi e le spinte anti-immigrati - cita l’impegno comune per i migranti, Diocesi e Provincia fianco a fianco, «una bella pagina per la nostra autonomia». Pochi minuti dopo la risposta di don Tisi arriva con le tre priorità che indica per il suo mandato: costruire relazioni nelle comunità spesso lacerate da egoismi, sostenere i giovani e dare loro prospettive; infine, ma certo non in fondo, «accettare una verità che non possiamo più definire emergenza, ma una provocazione della storia: la presenza di migliaia di migranti, viandanti della speranza. È una sfida non solo all’accoglienza, di cui stiamo dando prova encomiabile, ma ormai alla convivenza nel rispetto reciproco delle sue regole basilari».
In Duomo la lunga celebrazione comincia con il saluto dei laici. Poi è Giuseppe Zadra, già vicario e amico fraterno di don Lauro, a leggere la bolla papale: «Che tu possa guidare i fedeli con i fatti più ancora che con le parole, perché le parole smuovono, gli esempi trascinano», scrive Papa Francesco. Con i cori di Giustino e Spiazzo, un pezzo di casa arrivato in cattedrale insieme a mamma Irene, la sorella Iva e i due fratelli, e Saulo il nipote organista, la cerimonia di ordinazione prosegue con le parole del vescovo uscente Luigi Bressan: «Conosco il tuo cuore, la tua attenzione per chi soffre».
E chi conosce don Lauro lo pensa tra gli ammalati del San Camillo, o tra i carcerati di Spini. Bressan cita Sant’Ambrogio, l’invito «a non voler fare tutto da soli», «la corresponsabilità di tutti i battezzati», l’attenzione ai temi sociali, all’«accoglienza dei viandanti», ma anche alla famiglia «che affronta oggi molte tendenze contrarie alla sua unità e alla sua missione». «Sta’ sano e amaci, perché anche noi ti amiamo», è l’augurio al suo successore.
L’ordinazione di un nuovo vescovo non è solo festa di comunità ma anche una serie di riti che la Chiesa tramanda da secoli: l’imposizione delle mani da parte dei 25 sacerdoti su don Tisi, la prostrazione a terra davanti all’altare di San Vigilio, l’unzione. Don Lauro riceve da Bressan il Vangelo, l’anello, la mitra e il bastone. Infine l’abbraccio dei vescovi e la salita in cattedra: ora è lui il nuovo pastore della Chiesa trentina. Emozionato quando al momento dell’offertorio riceve il pane e il vino dalle mani dei suoi fratelli, e quando va a dare la pace alla mamma e ai suoi sette confratelli di ordinazione
Il suo discorso finale, prima di lasciare la cattedrale, è un appello alla «cara Chiesa di Trento». Un invito: «Non dobbiamo avere paura», perché «non ci manca nulla». Poi l’appello, accorato: «Sostienimi quando il mio passo si farà stanco, perdonami quando ti deluderò con i miei peccati, fermami quando dovessi sostituire il Signore Gesù con altri tesori, rimproverami a viso aperto quando mi terrò lontano dai poveri, dagli ultimi, dai senza nome». Parole che riecheggiano quelle di Papa Francesco, anche quando conclude: «Nessuno si senta escluso, non all’altezza, non necessario».
In piazza l’ultimo bagno di folla, in questa lunghissima giornata c’è ancora il tempo per abbracciare persone amiche venute a incoraggiarlo. «Don Lauro, ricordati degli anziani», si raccomanda una signora. «Sarà un pastore in mezzo alla gente, a fianco di chi fa più fatica», promette don Ivan Maffeis, uno che il nuovo vescovo lo conosce bene.