operazione puma

Denunciato un dipendente della Rurale

Dopo la rapina alla filiale della cassa di Lizzana, ai carabinieri forniva dichiarazioni fuorvianti per sviare le indagini


di Giancarlo Rudari


ROVERETO. Non ci sono soltanto tre arrestati (un albanese ed una coppia di roveretani) nell’ambito dell’ “Operazione Puma” conclusa dopo lunghe e minuziose indagini dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri di Rovereto per una rapina in banca e una rapina alla sala giochi Admiral al Follone.

Tra i due denunciati figurano un uomo albanese (per concorso esterno) e un impiegato della Cassa rurale di Lizzana accusato di favoreggiamento in quanto, come affermato dai vertici dell’Arma (il colonnello Maurizio Graziano e i capitani Massimo Di Lena e Andrea Pezzo) «tentava di sviare le indagini rendendo dolosamente dichiarazioni fuorvianti». Come dire: non solo non ha collaborato nelle indagini, ma con le sue dichiarazioni ha cercato di sviare le indagini. Un complice dunque che era presente nella filiale di via Abetone, il 30 novembre scorso durante il colpo che fruttò al rapinatore armato di un coltello un bottino di 8.000 euro?

Non si può tecnicamente definire complice in quanto non ha avuto un ruolo attivo nella rapina, ma la sua posizione proprio per il fatto che si sia dimostrato reticente e che abbia fornito durante l’interrogatorio dichiarazioni fuorvianti risulta particolarmente delicata. E così l’uomo si trova accusato di favoreggiamento esterno.

Ben più grave, ovviamente, la posizione dei tre arrestati: la coppia di insospettabili roveretani - lei, Paola Stedile, 48 anni, dipendente comunale e impiegata come cuoca in un asilo, e suo marito Salvatore Neri 54 anni, autotrasportatore - che, insieme a un quarantaquattrenne albanese, Manolo Caushi, da qualche tempo convive con loro in un'abitazione di Terragnolo, avevano trovato il modo più veloce per ripianare i debiti accumulati durante le serate passate davanti alle slot machine.

Infatti i tre, schiavi del gioco, sono diventati (pur con ruoli diversi) rapinatori. L’albanese (riconosciuto anche per il suo modo di vestire e le scarpe Puma - che hanno dato il nome all’operazione - indossate nei due colpoi) sarebbe l’autore materiale come hanno potuto accertare i carabinieri visionando le immagini delle telecamere di sicurezza di accesso alla città e quindi sia della Cassa rurale di Lizzana (30 novembre 2015) che della sala gioco Admiral al Follone (il 7 aprile con un bottino di 12.000 euro), ascoltando migliaia di telefonate durante le intercettazioni, seguendo i sospettati (finiti poi in carcere) nel loro movimenti.

La coppia roveretana, invece, avrebbe avuto un ruolo attivo nell’organizzare i colpi e pare anche nell’essere presente sul “luogo del delitto” mentre il complice si faceva consegnare il bottino. Sarebbero stati loro i due clienti (oltre al responsabile della sala) legati all’Admiral la notte del colpo. Sotto la minaccia di una pistola il rapinatore aveva impartito ai clienti l’ordine di legarsi tra da di loro tralasciando invece altri giocatori impegnati alle slot in un’altra sala. E i due rovertani si sarebbero legati per modo lasciando i nodi allentati in modo poi da poterli sciogliere con facilità.

Un dettaglio che non è stato per nulla trascurato dagli uomini dell’Arma. Passo dopo passo, elemento dopo elemento, i carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile sono riusciti a mettere assieme i tasselli di un puzzle che sembrava irrisolvibile. Tanti elementi, apparentemente inconciliabili se non contradditori, si sono rivelati determinanti per concludere con successo l’operazione.

 













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